La spinta del nuovo Recovery, 46 miliardi in più da investire

di Federico Fubini

La spinta del nuovo Recovery, 46 miliardi in più da investire

Fin da prima del giuramento, uno dei grandi obiettivi del governo di Mario Draghi è stato il progetto in approvazione in questi giorni. Da subito era certo solo che ci sarebbe stato pochissimo tempo per farlo. E uno dei motivi della caduta del governo che lo ha preceduto, quello di Giuseppe Conte, è stato nella difficoltà nel mettere a punto quel progetto. Entro il 2026 l’Italia potrà investire 204 miliardi di fondi di Next Generation EU, di cui 191 nell’impianto di investimenti che sta per arrivare in parlamento come Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Poiché quello è stato uno dei grandi spartiacque che hanno deviato il corso della politica da Conte e Draghi, vale la pena di chiedersi in cosa il Pnrr del secondo sia diverso – o simile – rispetto alle bozze del primo. Risposta: c’è una buona dose di continuità nello scheletro e nella maggior parte dei progetti, mentre spiccano poche notevoli discontinuità.

Gli stessi funzionari hanno scritto i due Pnrr, ma il cambio di stagione si avverte. Quanto sarà effettivo dipenderà però dal percorso sulle riforme dei prossimi mesi e anni. Le prime novità sono nel linguaggio. Sparisce una certa retorica (“Costruire l’Unione europea delle prossime generazioni è il compito storico a cui siamo chiamati per essere protagonisti”, esordiva il Pnrr di Conte). Subentra un’analisi realista, come a far capire agli italiani la posta in gioco. Scrive Draghi nella prefazione: “Tra il 1999 e il 2019, il prodotto interno lordo in Italia è cresciuto in totale del 7,9%. Nello stesso periodo in Germania, Francia e Spagna l’aumento è stato del 30,2%, del 32,4% e del 43,6%”.

E ancora, per mostrare che il problema di fondo è la produttività del sistema: “Negli ultimi vent’anni, dal 1999 al 2019, il Pil per ora lavorata in Italia è cresciuto del 4,2%, mentre in Francia e Germania è aumentato del 21%”. Senza dirlo, il Pnrr viene dunque presentato come l’ultima occasione per correggere mali che hanno origine ben prima della pandemia. Conte non era stato così trasparente. Ne deriva una differenza del nuovo piano: ci sono più investimenti addizionali, rispetto a quelli che l’Italia programmava già da prima. Nel piano di Conte valevano circa 120 miliardi. Nel piano di Draghi valgono invece circa 166 miliardi, dei quali 31 localizzati in un “fondo complementare” di risorse tutte italiane (non europee) varato essenzialmente per finanziare vari progetti presentati dai ministeri che non sono riusciti a entrare nel Recovery. Il piano contro la crisi

Un protagonista stagionato di questi anni paragona il fondo complementare “al cestino del computer: ci sono le voci in attesa di essere eliminate”. Ma, anche se in parte accadesse, i nuovi investimenti di Draghi superano quelli di Conte. Restano uguali o quasi le sei grandi missioni del Recovery, dal digitale a “inclusione e coesione” e così quasi tutte le 16 componenti. Chiaramente il nuovo governo ha costruito sulla base del lavoro del vecchio. Ma c’è un maggior livello di dettaglio – riconosciuto anche dalla Commissione Ue – e si notano importanti deviazioni, in particolare nel lavoro dei ministri Roberto Cingolani (Transizione ecologica) e Vittorio Colao (Innovazione e digitale).

Non solo per il fatto che il grosso degli aumenti di investimenti addizionali – circa venti miliardi – vanno nei loro progetti. Solo l’area del digitale, dalla banda larga alla cybersecurity, passa da sei a 13 miliardi. Ma in realtà l’area verde e tecnologica cambiano anche nel merito. Colao ha imposto una novità in una delle partite più delicate: nella banda ultra-larga, si passa da un’unica gara nazionale con una sola azienda vincitrice a varie gare (forse fra dieci e 15) per i diversi territori. È l’approccio seguito anche negli Stati Uniti. Permette più concorrenza, il formarsi di diversi consorzi, stime più precise sulla fattibilità e aggira il problema di un blocco dell’appalto su tutto il Paese in caso di contenziosi. C’è poi molta più enfasi sui progetti dell’industria spaziale.

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