Primo maggio, festa del lavoro che non c’è. In un anno perso un milione di occupati: gli inattivi sono oltre 14 milioni

Giuliano Balestreri

Un milione di posti di lavoro persi in un anno; 208mila nuovi assunti in meno a gennaio 2021 rispetto allo stesso periodo del 2020 e un segno meno che si ripete senza dall’aprile 2020 davanti al dato della variazione tendenziale dei rapporti di lavoro. Un numero che conferma quanto lunga sia ancora la strada verso la ripresa.

E che fa sembrare lontana anni luce l’infelice promessa dell’ex ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri: «Nessuno perderà il proprio lavoro a causa del coronavirus». I fatti, purtroppo, dimostrano che non è andata così. Gli italiani con un lavoro sono 22,1 milioni, ai minimi dal 2015, così come gli assunti a tempo indeterminato: appena 14,7 milioni, il numero più basso degli ultimi sei anni.

Abbastanza perché il primo maggio, nel giorno della festa dei lavoratori, si ricordi chi un impiego non lo ha più. In un contesto che rischia di peggiorare ulteriormente con la fine del blocco dei licenziamenti e della cassa integrazione Covid. Anche perché non si può non rilevare il numero degli inattivi, ovvero quanti non lavorano e neppure cercano un impiego: il tasso è stabile al 37%, ma nell’arco dei dodici mesi a fronte di 21mila persone in più in cerca di occupazione, ci sono 717mila inattivi in più. E in totale, oggi, gli «scoraggiati» sono poco più di 14milioni.

Anche perché nell’ultimo anno molte imprese hanno dato il peggio di loro stesse. A cominciare da quelle del settore terziario, attive nelle cosiddette «professioni intellettuali» che sfruttando le maglie larghe della cassa Covid hanno sovrapposto cassa integrazione e smart working puntando sul fatto che lo Stato non avesse gli strumenti per controllare e che i lavoratori non avessero la possibilità di difendersi. Qualcuno ha scoperto di essere stato messo in cassa integrazione retroattivamente, qualcun altro, invece, è stato più fortunato e a fronte di una cassa integrazione che arriva al 50% dell’orario si vede integrare interamente lo stipendio da parte dell’azienda.

«E’ una libera scelta dell’imprenditore che in questo modo fidelizza il dipendente» spiegò Massimo Braghin, consigliere nazionale dell’ordine dei Consulenti del lavoro ed esperto di smart working secondo cui «il lavoro agile e la cassa integrazione sono di fatto incompatibili. Lo smart working disciplinato dalle legge 81 del 2017 è molto diverso da quello che abbiamo vissuto nei giorni del Covid».

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