Primo maggio, festa del lavoro che non c’è. In un anno perso un milione di occupati: gli inattivi sono oltre 14 milioni
Il motivo è semplice: se il lavoro agile prevede che tempi e ritmi siano dettati dal dipendente vincolato solo dal risultato del proprio lavoro, la cassa integrazione prevede lo stretto rispetto delle regole.
Ad aprile dello scorso anno, dati Inps mostrarono come i dipendenti in cassa fossero quasi 8 milioni in tutta Italia (poco meno della metà dei 18 milioni di italiani con un rapporto di lavoro subordinato), non tutti però hanno un cartellino da timbrare e proprio per questo il controllo del rispetto delle regole è semplicemente impossibile. Se in una qualunque azienda manifatturiera la verifica della cassa integrazione avviene con il conteggio delle ore lavorate, per gran parte del terziario questo strumento non esiste. A maggior ragione in tempo di smart working. Le verifiche da parte degli ispettori del lavoro avvengono in azienda, ma come possono verificare il rispetto delle norme da parte di chi sta a casa?
Motivo per cui diversi lavoratori in busta paga hanno visto da un lato la trasformazione di giornate di ferie in ore di cassa integrazione e ad altri è stata comunicata la riduzione dello stipendio senza un taglio del carico di lavoro: riunioni e mail proseguono senza il diritto alla disconnessione, mentre le consegne dei progetti non vengono posticipate. Tradotto: lo smart working da strumento di welfare aziendale si è trasformato – in alcuni casi – in una trappola per i dipendenti e in una possibile truffa ai danni dello Stato. Se da un lato era urgente trovare una soluzione per salvare la vita a migliaia di imprese – e a milioni di dipendenti – dall’altro il governo avrebbe dovuto riflettere sulle conseguenze dell’incapacità a legiferare in modo chiaro e deciso.
LA STAMPA
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