Salvini-Meloni, scontro a destra
Ugo Magri
Quando una coppia comunica a messaggini, vuol dire che sta scoppiando. Meloni e Salvini ormai non si parlano più di persona, tantomeno per telefono: colloquiano a mezzo stampa oppure, come ieri mattina, via Whatsapp. Sul cellulare del Capitano è risuonato un “bip” ed era Giorgia, la quale intendeva puntualizzare un paio di concetti dopo aver letto lo sfogo di Matteo sulle candidature nelle grandi città. «La Lega costruisce e qualcun altro disfa», aveva alluso lui; allora lei, sentendosi chiamata in causa, gli ha scritto che si sbaglia di grosso, non sono stati certo i Fratelli d’Italia a silurare Gabriele Albertini a Milano e Guido Bertolaso a Roma, nessuno mai si è sognato di sollevare veti nei loro confronti, però sarebbe ora di mettere le carte in tavola. Cosa che avverrà mercoledì prossimo, ma ancora una volta in assenza dei leader e solo a livello di “sottopanza”, cioè tra i responsabili degli enti locali: uno standing inadeguato a dipanare la matassa di gelosie, di incomprensioni e di risentimenti che si sono accumulati tra quei due, a metà tra il personale e il politico.
Intendiamoci: amici veri Meloni e Salvini non sono stati mai. Anzi si detestano da sempre. Perlomeno ai tempi di Berlusconi avevano in comune l’astio nei confronti del padre-padrone, volevano emanciparsi da Silvio e marciavano divisi per colpirlo uniti. Se oggi sono ai ferri corti, in un certo senso la colpa ricade proprio sul Cav, uscito di scena senza lasciare eredi. In mancanza del testamento, vale la legge dei numeri. E più i Fratelli d’Italia avanzano nei sondaggi (nella Supermedia di YouTrend sono schizzati al 18,4 per cento), più la Lega va perdendo quota (sta adesso al 21,8). Cosicché il distacco tra i due partiti non raggiunge i tre punti e mezzo percentuali dagli oltre 13 di un anno fa, lasciando immaginare un sorpasso già entro l’estate o al più tardi in autunno. Ciò rende nervoso Salvini, e possiamo capirlo: da premier in pectore col sogno dei «pieni poteri» si ritroverebbe a fare il numero due, eterno vice. Perciò vive con la scimmia dell’ossessione sulla spalla; in ogni gesto della Meloni scorge una mossa ostile, immagina complotti perfino quando lei non fa nulla. Sulla candidatura a sindaco di Milano, per esempio, Giorgia non ha mosso un dito: se l’è cantata e suonata Matteo tirando fuori dal cilindro Albertini, coccolandolo, uscendoci al bar, parlandone nelle interviste salvo poi restare spiazzato e fuori della grazia di dio quando il suo presunto campione si è defilato. Cosa c’entra Meloni con la rinuncia? Nulla.
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