Usa, il lavoro rallenta: lo spettro socialista sulla gestione Bide
Paolo Mastrolilli
DALL’INVIATO A NEW YORK. I democratici vogliono trasformare gli Usa in un paese socialista. All’inizio della campagna presidenziale del 2020, prima che il Covid la rivoluzionasse, questa denuncia era al cuore della strategia per la rielezione di Trump. Lui era convinto che il suo avversario sarebbe stato Sanders, o così sperava, e avvertiva gli americani che con Bernie alla Casa Bianca sarebbero entrare le politiche di Alexandra Ocasio.
Biden aveva iniziato a vincere le primarie, prima ancora dell’esplosione della pandemia, proprio perché rappresentava l’antidoto a questa velenosa accusa. Uomo della classe media, nato a Scranton nella Pennsylvania che viveva di carbone e acciaio, prodotto dell’istruzione pubblica della University of Delaware, invece dell’Ivy League dei Clinton e di Obama. Una vita politica da mediano, moderato. Joe sapeva che Trump nel 2016 aveva vinto portando via ai democratici la loro base lavoratrice e della classe media, che si era sentita abbandonata da un partito passato nelle mani dell’elite, soprattutto negli stati chiave della «Rust Belt» come Pennsylvania, Michigan e Wisconsin. Il suo obiettivo era quindi riportarli a casa, almeno in una percentuale sufficiente a battere Donald, puntando sul buon senso e il radicamento personale nella realtà di queste persone deluse. Niente socialismo, dunque, ma un’attenzione alle esigenze trascurate del popolo, che doveva generare la sua versione dello slogan «America First». Chris Kearns, che conosce bene Biden perché vive nella casa di Scranton dove lui era cresciuto, ci aveva riassunto così la strategia: «Joe è molto genuino e interessato alla gente. E’ sempre stato così. L’attenzione per le persone comuni è la sua forza. Sarà pure anziano, ma guarda al futuro, mentre Trump resta fissato su un passato che non può tornare. Qui in Pennsylvania servono investimenti nelle infrastrutture, servizi, posti di lavoro creati dall’energia pulita. La nostalgia non dà il pane».
Questa strategia ha funzionato alle urne, ma ieri è arrivata la prima doccia fredda. Ad aprile l’economia americana ha creato solo 226.000 posti di lavoro, contro il milione atteso dagli analisti, e la disoccupazione è tornata a salire. I conservatori hanno subito attribuito la colpa al socialismo di Biden, perché distribuendo sussidi col Rescue Plan da 2 trilioni di dollari ha spinto la gente a restare a casa, invece di cercare impiego. Lui ha risposto che è falso: «I dati non provano questa connessione. Il Rescue Plan è tarato su un anno, i risultati non potevano arrivare in due mesi. Semmai dimostra che c’è ancora molto da fare, a partire dal piano per le infrastrutture». Ha ragione lui, o la deriva socialista sta già corrompendo gli Usa?
Biden è convinto che la democrazia sia sotto attacco, tanto in America, come ha dimostrato l’assalto al Congresso del 6 gennaio, quanto nel mondo, dove autocrazie come Cina e Russia puntano a demolirla.
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