Lo sforzo che serve sul lavoro
Il senso di improvvisazione di cui sopra trova conferma anche in un ultimo episodio. È di queste ore la presentazione di un’ennesima tipologia di contratto che presenta evidenti contraddizioni e rischia per di più di non avere nessuna efficacia. Il neonato si chiama contratto di rioccupazione e dovrebbe servire ad assumere a tempo indeterminato con una decontribuzione previdenziale di sei mesi, condizionata alla presentazione di un progetto ad personam. Come però ha messo in evidenza ieri Il Sole 24 Ore, per dei limiti di finanziamento previsti dalla Commissione europea non si applicherà alle grandi e medie imprese ( hanno già esaurito il loro plafond) e di fatto potranno utilizzarlo solo le piccole e micro-imprese. Sicuramente le meno attrezzate a redigere un progetto di inserimento individualizzato. Un pasticcio, dunque, che fa addirittura sorridere nella misura in cui gli estensori si sono spinti a prevedere già un tiraggio di oltre 500 mila assunzioni. La verità è che la vicenda del nuovo contratto sommata al blitz sul prolungamento del blocco dei licenziamenti al 28 agosto e alla fantasiosa soluzione data al caso Anpal (per silurare il guru dei due mondi, Mimmo Parisi, si è dato vita a uno spezzatino delle competenze) finisce per rafforzare l’idea di un ministero dedito al bricolage decisionale, in evidente contrasto con la narrazione di un governo che sa pensare non solo all’oggi ma anche al domani.
P.S. La statistica europea ha deciso che i cassaintegrati a zero ore dopo 3 mesi vanno conteggiati nella casella degli inattivi ma si sta chiudendo un’intesa alla Embraco che, invece dell’auspicata reindustrializzazione, garantisce un’ulteriore provvista di Cig per sei mesi. Un contratto di inattività, lo si potrebbe definire.
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