Aspettando un Joe Biden all’italiana

MASSIMO GIANNINI

Solo il provincialismo italico può trasformare in scandalo una proposta di buon senso come quella avanzata da Enrico Letta. Solo i cani di Pavlov aizzati dagli opposti ideologismi possono sbranarsi su un modesto aumento dell’imposta di successione per finanziare una “dote” da 10 mila euro dedicata ai 18enni. Proviamo a sollevare gli occhi dal piccolo pollaio tricolore, e guardiamo al grande mondo. Mentre il Paese si divide su un’ipotesi minima di giustizia sociale, stigmatizzata dai nostri liberisti alle vongole alla stregua di un esproprio bolscevico, altrove riformisti assai più forti e coraggiosi progettano modelli di modernizzazione fiscale di radicalità inimmaginabile a queste latitudini. Joe Biden, presidente progressista e moderato che non ha bisogno di coprirsi a sinistra su Bernie Sanders, ha appena varato un Recovery Plan da 1.900 miliardi di dollari per finanziare il nuovo Welfare. Lo farà attraverso un aumento delle tasse da 1.500 miliardi a carico degli americani più abbienti, eliminando i trattamenti privilegiati sui capital gains e sui dividendi di chi ha redditi superiori a un milione l’anno. Un piano-monstre, per quantità e qualità, con un massiccio ricorso agli investimenti pubblici in infrastrutture, una decisa curvatura sociale e redistributiva, una netta accentuazione della progressività delle imposte a beneficio dei più deboli: di fronte alla più grave crisi dal dopoguerra, chi ha di più deve dare di più. Alla stessa logica risponde un’altra battaglia che l’amministrazione Biden, con il fondamentale supporto della Federal Reserve di Jenet Yellen, sta conducendo in vista del G20 del prossimo 9 luglio a Venezia: introdurre la “Global Tax”, un’imposta minima globale sulle multinazionali, per evitare fenomeni di elusione e di trasmigrazione delle grandi aziende nei paradisi fiscali legali.

All’inizio il presidente americano era partito da un’aliquota del 21 per cento. Ora in sede Ocse si ragiona intorno al 15 per cento, e su questa base stanno crescendo i consensi anche da questa parte dell’Atlantico. In Francia il dibattito è in corso: “Di fronte al Covid, l’idea di tassare i ricchi fa il suo cammino”, titola le Monde, ricordando uno studio dell’Osservatorio delle Multinazionali del 27 aprile scorso secondo il quale le società quotate in Borsa al Cac 40, entro giugno, staccheranno dividendi ai propri azionisti per 51 miliardi di euro. Anche in Germania, in vista delle elezioni di settembre, si discute di patrimoniale: secondo l’Istituto Economico di Berlino, quest’anno i tedeschi si passano di mano tra i 300 e i 400 miliardi di euro solo in donazioni e eredità. Non solo la sinistra estrema di Die Linke, ma anche Spd e Grunen, probabili candidati alla Cancelleria, si sono espressi a favore di una nuova “imposta sulle grandi fortune” e di una riforma dell’imposta di successione.

E in Italia? Di Biden nessuno parla. Ma per paradosso, nelle stesse ore in cui il premier Draghi gelava il leader del Pd per la sua proposta, il ministro del Tesoro Daniele Franco a Bruxelles esprimeva il convinto sostegno del governo italiano alla Global Tax americana: “E’ un altro passo importante verso un accordo sulla nuova architettura fiscale internazionale”.

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