Tommaso Longobardi, il guru social di Meloni: «Ho iniziato con Casaleggio. La mia strategia? Coerenza e lato umano di Giorgia»
di Claudio Bozza e Martina Pennisi
Tommaso Longobardi con Giorgia Meloni
Tommaso Longobardi è il braccio (armato) di Giorgia Meloni sui social network: dal febbraio del 2018 sta accompagnando l’ascesa della leader di Fratelli d’Italia decidendo dove, come e quando farla «parlare» in Rete. 30 anni, romano, laurea triennale in psicologia. Formazione? Casaleggio Associati.
«Ho iniziato con loro circa otto anni fa: è stato il mio primo lavoro come social media manager. Per due anni ho lavorato nell’ufficio di Gianroberto. Era più che altro un contesto aziendale, mentre di comunicazione politica ho cominciato a occuparmi quando mi sono trasferito a Roma e ho lavorato per diverse aziende, interfacciandomi anche con esponenti del Movimento 5 Stelle».
Come è arrivato a Giorgia Meloni?
«Con il passaparola: quando lavori bene funziona così. Avevo curato alcuni profili che sono arrivati sul suo tavolo e ho iniziato a buttare giù qualche progetto quando si stavano affacciando alla campagna delle politiche del 2018. Non avevano una struttura social: siamo partiti in due. Oggi siamo cinque, con alcuni profili dedicati in modo specifico alla parte grafica».
Come avete contribuito alla crescita della popolarità di Meloni?
«Ci è bastato rimanere fedeli alla linearità delle scelte politiche di Fratelli d’Italia. A differenza di altri, FdI non ha mai stravolto e cambiato la propria posizione politica sposando battaglie che non gli appartengono e vanno contro la linea e la storia del partito».
Sui social c’è stata una crescita delle interazioni: a cosa è dovuta?
«Quello che abbiamo fatto è mostrare anche il lato umano di Giorgia Meloni, non solo quello politico e magari più aggressivo con cui veniva identificata prima. Si pensava che Giorgia potesse essere solo quella cosa lì. Non abbiamo dovuto fare altro che mostrare un altro lato della sua personalità. Poi bisogna anche considerare il fatto che le interazioni dipendono molto dalla popolarità politica: negli ultimi tre anni la crescita di Meloni è stata evidente e progressiva, e quindi ha coinvolto anche i social».
In alcuni contesti avete fatto un passo indietro: TikTok, per esempio. Perché? Non è controproducente?
«I social vanno valutati in base alla potenzialità per la comunicazione politica. TikTok non si presta molto, gli utenti sono troppo giovani e poco interessati alla politica: non volevamo trasformare Giorgia in una tiktoker. Poi dobbiamo anche dosare il tempo che abbiamo a disposizione. Faccio un esempio: se dovessimo aprire un canale Twitch avremmo bisogno di una strategia a parte per rivolgerci a un pubblico che anche in questo caso è molto giovane, io invece preferisco i numeri più alti che mi garantisce una diretta su Facebook».
Usate strumenti di ascolto e analisi di quello di cui si parla in Rete?
«La maggior parte degli staff che curano i social usa piattaforme esterne per il sentiment, e non è niente di eclatante o da nascondere, come qualcuno vuole far passare. Io semplicemente non le ho mai valutate perché penso che valga la percezione personale, la capacità di segnalare notizie che sono utili alla narrazione politica di Giorgia. Se tracci il sentiment trovi notizie che possono non essere spendibili per il tuo target o per un politico».
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