Enrico Letta: «La nostra democrazia è malata. Mattarella e Draghi accompagnino il processo per guarirla»
di Marco Damilano
La Repubblica nacque in una notte di settantacinque anni fa, tra il 4 e il 5 giugno 1946, con il risultato del referendum che tre giorni dopo il voto era ancora avvolto nel mistero. «Tutti, cioè noi redattori dei quindici giornali romani del mattino, rincasavamo con gli occhi rossi e la bocca impastata, intontiti o eccitati dalla doccia scozzese delle notizie che si erano urtate, accavallate, contraddette per tutta la notte…», scrisse Vittorio Gorresio che sarà il principe dei giornalisti del Parlamento repubblicano. Quando furono convocati i giornalisti per leggere i risultati ufficiosi, il ministro dell’Interno Giuseppe Romita sfogò la tensione dando uno schiaffo a un cronista americano che aveva provato a sbirciare in anticipo i numeri dal foglietto ciclostile: fu l’unico gesto di violenza registrato in quella storica giornata. Qualche giorno dopo, il 25 giugno 1946, si riunì l’Assemblea Costituente. Per la prima vola mise piede nell’aula di Montecitorio una donna, la socialista Bianca Bianchi, e a seguire le altre venti elette (su 556 deputati).
Settantancinque anni
dopo la Repubblica festeggia forse l’anticipo della fine della pandemia e
si trova di fronte a un nuovo momento cruciale della sua storia.
Crescita economica attesa e tensione sociale crescente, con la fine del
blocco dei licenziamenti in arrivo. L’inizio del semestre bianco: il
compleanno della Repubblica coincide con l’ultimo tratto del mandato di
Sergio Mattarella. Il periodo più incerto, di transizione istituzionale,
con il governo di unità nazionale presieduto da Mario Draghi di fronte
alle prime scelte politiche, non tecniche. Le liberalizzazioni, le crisi
aziendali, le nomine.
La Repubblica nacque da un compromesso, alto e non al ribasso, nonostante la spaccatura in due del Paese in quel referendum in cui votarono per la prima volta le donne. «Lo strumento referendario, per sua natura bipolare e non consociativo, è servito alla difficile saldatura fra l’Italia repubblicana che stava nascendo e l’Italia monarchica, garantendo il consenso popolare al nuovo ordinamento», ha scritto Pietro Scoppola in “La Repubblica dei partiti”, uscito trent’anni fa e oggi ripubblicato dal Mulino (ne scrive Umberto Gentiloni). Norberto Bobbio definì la nascita della Repubblica «un caso esemplare»: «Da uno stato di guerra di tutti contro tutti si è arrivati a una scelta istituzionale demandata al popolo che ancora oggi è il nostro fondamento di legittimità».
In settantacinque anni questo
fondamento è stato attaccato dai terrorismi rosso e nero, dalla mafia,
da poteri occulti come i massoni della P2. E corroso dalla mancanza di
credibilità, da un senso di cittadinanza mai compiuto. La Repubblica dei
partiti è diventata, in trent’anni, una Repubblica senza partiti. E al
suo posto non è mai nata la «Repubblica dei cittadini», «un passaggio
tanto più arduo e difficile perché coinvolge questioni di mentalità e di
cultura e non solo problemi istituzionali», scriveva Scoppola. E viene
da domandarsi se si possa (ancora) parlare di spirito repubblicano,
nell’Italia dell’unità nazionale divisa. Lo chiedo a Enrico Letta, da tre mesi segretario del Pd, il partito che più di tutti dichiara di voler incarnare lo spirito repubblicano.
Pages: 1 2