Enrico Letta: «La nostra democrazia è malata. Mattarella e Draghi accompagnino il processo per guarirla»


«Gli anni Dieci del nuovo secolo hanno evidenziato che la democrazia italiana è gravemente malata», afferma Letta. «Per questo guardiamo con nostalgia alla fase del bipolarismo centrodestra-centrosinistra, Berlusconi da una parte, Prodi e l’Ulivo dall’altra, con la legge elettorale Mattarellum che consentiva una partecipazione più lineare e le maggioranze stabili. Nei Dieci ci sono stati sette governi e sei premier in dieci anni, un record probabilmente assoluto. Nello stesso periodo la Germania ha avuto la stessa cancelliera, l’Olanda uno, la Spagna due primi ministri. Cito paesi con un sistema istituzionale e politico non lontano dal nostro. Aggiungo: cambi di governo e di maggioranza. Fino ad arrivare a questa legislatura, agli ultimi tre anni con maggioranze diverse. È un guaio per il Paese. Per questo metto in campo quattro proposte. Una battaglia contro il gruppo misto di Camera e Senato, dovrebbe essere un faticoso purgatorio, è un paradiso per parlamentari che fanno quello che vogliono e senza alcun controllo: al suo posto, il gruppo dei non iscritti, come nel Parlamento europeo. La sfiducia costruttiva per sostituire un governo con un altro, come in Germania: non si può fare se non indichi già la nuova maggioranza. L’applicazione dell’articolo 49 della Costituzione per regolare la vita dei partiti. Una nuova legge elettorale: non entro nei tecnicismi, ma la malattia democratica si è acuita con le liste bloccate e i criteri di cooptazione e fedeltà. Il cittadino arbitro, per dirla con Roberto Ruffilli, è stato espropriato, non decide né i governi né i parlamentari. Queste sono le cose urgenti da fare. Tutte le forze politiche dovrebbero sentire la serietà e la gravità di queste questioni, prendersi impegni, guardare oltre il presente, smettere di essere sempre in campagna elettorale e di scaricare sui governi i problemi interni».


Quella di Draghi appare un’unità nazionale divisa, a differenza di altre stagioni, a partire da quella iniziale della Repubblica. In cui lo scontro della guerra fredda che arrivava fu tenuto sotto controllo, mentre i partiti che si sarebbero contrapposti nei decenni successivi, la Dc, il Pci, il Psi, scrivevano insieme la Costituzione. E oggi qual è l’orizzonte?
«Abbiamo la fortuna di avere ai vertici delle istituzioni, alla presidenza della Repubblica e alla presidenza del Consiglio, le due figure che rappresentano il meglio che oggi l’Italia sappia esprimere», risponde Letta. «Io penso che sia importante che accompagnino questo processo in cui al Recovery che significa risorse, lavoro, sostenibilità ambientale, si aggiunga anche un’azione per guarire la governance del Paese e rendere la nostra democrazia meno malata».

In che modo?

«Vorrei che con gli altri leader politici parlassimo di questi temi che sono di natura parlamentare. È interesse di tutti. Il governo fa bene la sua parte. Sulla riforma della giustizia sta avvenendo qualcosa di molto importante. Stiamo mettendo le basi per risolvere questioni che attendono da decenni. Lo scontro sulla giustizia ha bloccato il Paese. E la necessità di superare i blocchi è fondamentale per far sì che il Recovery poggi su gambe vere».


Un’indicazione implicita: meglio che Mattarella e Draghi restino al loro posto, anche nel 2022. Il governo, finora, si è mosso in una situazione di coprifuoco politico: nessuna dialettica, pochissime distinzioni, partiti che si intestavano la chiusura dei locali alle ore 22 o alle ore 23. Poi, all’improvviso (e per fortuna!) le divisioni sono tornate. Sulla fine del blocco dei licenziamenti, sul ritorno del massimo ribasso negli appalti, sulla proposta di Letta di tassare le grandi eredità per dare una dote ai diciottenni italiani.

«A me preoccupa che ci possa aspettare un futuro inquietante di inverno demografico. Italia, Polonia, Romania saranno i tre paesi europei che tra cinquant’anni si asciugheranno dal punto di vista demografico, mentre la Francia crescerà e Germania e Spagna reggeranno. I giovani hanno vissuto durante la pandemia una situazione di sacrificio enorme, contro-intuitivo. A ragazzi che stavano bene si è chiesto di chiudersi in casa. Quando hai 54 anni come me gli anni sono la stessa cosa, ma avere sedici o diciassette anni non è uguale. I giovani vivono le conseguenze di un decennio terribile. Le misure di austerità hanno obbligato i paesi europei a usare le risorse che avevano per salvare il lavoro che c’era. La risposta alla crisi è avvenuta a vantaggio di generazioni adulte. Oggi i giovani sono l’epicentro del problema. Per i giovani non è stato fatto nulla e i giovani sono andati via dall’Italia. Dobbiamo restituire loro una ragione per tornare, quella che mi chiedevano gli studenti a Parigi. Per questo insisto sul voto ai sedicenni, per questo abbiamo ottenuto che fosse inserita nel Recovery la clausola generazionale, oltre che di genere, per questo ho avanzato la proposta della dote per i diciottenni che ha scatenato tante reazioni. Una larga parte dello spettro politico ha messo in scena il trionfo del benaltrismo, potrei elencare almeno dieci “serve ben altro”. Succede quando si tocca la rendita. Perché la tassa di successione per i più ricchi è la rendita, fu il governo Berlusconi a toglierla, c’è nella stragrande maggioranza dei paesi europei. Parlarne non significa attaccare quanto è stato costruito con il sudore della fronte, ma al contrario chiedere a chi eredita senza sudore beni milionari un contributo per i giovani che non hanno nulla».


Nella crisi della democrazia sono venuti meno i soggetti della rappresentanza, i partiti. Letta è da quasi tre mesi segretario del Pd, che ha assorbito le tradizioni e lo spirito repubblicano. Scoppola nella relazione al convegno di Orvieto (7 ottobre 2006) da cui cominciò l’operazione Pd parlava della democrazia a rischio: «Crisi di identità e questione democratica, determinismo e libertà, paura e speranza di futuro, solitudine e amicizia, sono queste le dicotomie su cui il partito nuovo dovrebbe costruire la sua identità e il suo progetto».

Cosa resta di tutto questo nel Pd che nei sondaggi continua a essere sotto il 20 per cento? Replica Letta: «L’idea del Partito democratico è quella giusta. Si chiama democratico, ha il tricolore e la foglia dell’Ulivo nel simbolo. Un partito di popolo, dei militanti e degli iscritti e non dei dirigenti o dei parlamentari. Il country party è una definizione di Beniamino Andreatta che vorrei per il mio Pd. Il partito del Paese, del popolo, è una stella polare della mia azione, è l’antitesi del partito del potere che negli ultimi dieci anni nostro malgrado abbiamo dovuto interpretare, per evitare degenerazioni del sistema, come è accaduto nel 2019. Sono le elezioni che decidono chi sta in maggioranza e chi all’opposizione».


Il segretario del Pd ha avviato quella che considera l’iniziativa più importante del suo mandato: le Agorà democratiche. «Lancio a luglio il semestre di grande dibattito sul futuro della democrazia italiana, le Agorà democratiche, aperte agli interni al Pd e agli esterni. Lavoreremo su una piattaforma digitale che consentirà di far partecipare migliaia e migliaia di persone. È un modo per discutere sul futuro dei partiti e della nostra democrazia. I partiti vivono un momento di grande difficoltà. Lo vediamo in questi giorni sulla ricerca dei candidati sindaci alle elezioni amministrative. Trattiamo tutto con una certa superficialità e invece la democrazia ha bisogno di cura. Il sindaco è diventato un mestiere molto complicato. Non l’ho mai detto in pubblico, ma sono convinto che oggi fare politica sia molto più difficile che in passato. Sei esposto per 24 ore su 24 ogni giorno, sei sempre messo in scena, a dire la tua a volte senza aver riflettuto, una responsabilità enorme. Ti viene richiesto, prima senza i social media eri più in una situazione più protetta. È la novità che il digitale comporta: ha cambiato tutto, i commerci, i consumi, il modo di fare educazione, istruzione, scuola e università, non possiamo immaginare che solo la partecipazione politica resti così com’è. Non possiamo digitalizzare tutto, ma pensare che il digitale possa rendere la partecipazione più orizzontale e egualitaria. Le agorà ci dovranno dire come sarà digitalizzato il nostro futuro politico. Come cambierà il ruolo delle sedi fisiche, il ruolo dei militanti. La democrazia va sul digitale. Il web aiuta ad accorciare le distanze, avvicinare i territori più remoti, le periferie. Prossimità e sostenibilità si tengono insieme».


Enrico Letta si ferma qui. Viene da notare che il semestre delle Agorà democratiche coinciderà con il semestre bianco di Mattarella e con le elezioni amministrative. E poi un nuovo presidente della Repubblica e forse nuove elezioni politiche. In un clima di ricostruzione, un appuntamento che quando arriverà, nel 2022 o nel 2023, non sarà meno importante di quello di 75 anni fa che decise per la Repubblica e elesse l’Assemblea Costituente. Sarà allora tutto da vedere se quanto accaduto in questi mesi sarà stato un reale cambiamento oppure si rivelerà «un travestimento del vecchio ordine, più che una premessa di una nuova realtà», come temeva Scoppola nel 1991, a proposito di una ipotetica Seconda Repubblica, un anno prima dell’inizio delle inchieste Mani Pulite, tre anni prima della nascita del partito berlusconiano. I gattopardi si moltiplicano, senza la politica e senza i partiti, anche questo ci hanno insegnato settantacinque anni di vita repubblicana.

L’ESPRESSO

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