Funivia del Mottarone, ecco cosa sappiamo e quali sono i punti oscuri
Andrea Pasqualetto inviato a Stresa
I vigili del fuoco e soccorso alpino sul posto della tragedia della funivia Stresa-Mottarone (LaPresse)
Si sa tutto sulla concausa della sciagura, quei freni disattivati, ma poco o nulla sulla causa prima, la rottura della fune. Si sa chi ha messo i cosiddetti forchettoni che hanno impedito alla vettura di fermarsi ma non si sa cosa ha determinato lo strappo del cavo. La dinamica della sciagura è chiara, meno le responsabilità, a parte quella del reo confesso, il capo servizio dell’impianto Gabriele Tadini, 63 anni, storico macchinista della funivia vicino alla pensione. A una settimana dal disastro costato la vita a 14 persone, gli inquirenti hanno fatto buona luce sul caso. Rimangono tuttavia dei punti oscuri. Vediamo dunque cosa si sa e quali sono i punti oscuri della più grande tragedia delle funivie italiane.
Le certezze: freni disattivati e forchettoni
È ormai una certezza: la cabina precipitata aveva i freni disattivati dai cosiddetti «forchettoni». Si tratta di due staffe di metallo inserite all’occorrenza sul sistema frenante della vettura per tenere aperte le ganasce. Vengono utilizzati di norma quando la funivia è all’ultima corsa della giornata. Servono a rendere meno problematica la riapertura dell’impianto il giorno dopo, nel caso in cui il freno d’emergenza della cabina scatti per qualche ragione, come nel caso di un guasto elettrico. Se succede l’addetto deve infatti raggiungere la cabina per sboccarli ed è un disagio. Regola numero uno: i forchettoni possono essere inseriti solo quando non ci sono passeggeri. Perché se succede un evento eccezionale, come può essere la rottura della fune che traina la cabina, il freno deve funzionare in modo che la vettura si fermi. In caso contrario, prende a correre incontrollata verso valle, come è successo.
La confessione di Tadini
Quattro giorni dopo la tragedia Tadini confessa: «Sono stato io a lasciare inseriti i forchettoni quel giorno, l’ho fatto perché c’era un’anomalia ai freni che li faceva chiudere spesso», dice precisando che i freni sono rimasti disattivati quasi ininterrottamente dal giorno della riapertura dell’impianto dopo lo stop per il Covid, lo scorso 26 aprile. Perché è da allora che avrebbero dato problemi, impedendo alla funivia di funzionare con continuità.
Il proprietario e il direttore
Nella deposizione a caldo, in una drammatica notte, Tadini coinvolge anche il gestore dell’impianto, Luigi Nerini, 56 anni, titolare della Ferrovie del Mottarone, e il direttore del servizio, l’ingegner Enrico Perocchio,
51, che sovrintende alla gestione della funivia e che è anche
dipendente del gruppo Leitner di Vipiteno (Bolzano) della famiglia
Seeber, la società che ha fornito le cabine e che si occupa della
manutenzione dell’impianto. Leitner è leader mondiale del settore, 65 filiali e 132 centri di assistenza nel mondo. Un colosso.
Tadini sostiene che Nerini e Perocchio erano a conoscenza della scelta di lasciare i forchettoni inseriti. I tre vengono fermati dai carabinieri il giorno stesso (ieri il giudice ha concesso i domiciliari a Tadini e la libertà a Nerini e Perocchio).
Ma gli altri due prendono le distanze dalle sue dichiarazioni. «Non
potevo fermare io la funivia – dice Nerini – Io potevo farlo solo se
mancava il direttore di esercizio».
Perocchio è più netto:
«Quella di usare i forchettoni è stata una scelta scellerata di Tadini».
Questo è un punto di frizione. Chi la racconta giusta? Tadini o Nerini e
Perocchio?
Chi sapeva? Il guadagno
Rimane da chiarire quante persone sapessero dei freni disattivati. Gli altri operatori dell’impianto? E anche se lo sapevano, quale livello di consapevolezza del rischio di disastro avevano questi dipendenti che evidentemente obbedivano a ordini superiori? E per quale motivo, in attesa del ripristino della funzionalità del freno, non sono state fermate le corse? Domanda, quest’ultima, che ha dentro il brutto sospetto della procura: soldi. Fermare la funivia significava fare meno corse e staccare meno biglietti. Meno guadagni. «Non ho risparmiato sulla sicurezza e ha agito in piena trasparenza», dice Nerini.
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