Funivia del Mottarone, ecco cosa sappiamo e quali sono i punti oscuri

Il testimone e la nuova ipotesi

Per cercare di sistemare il freno difettoso interviene la Rvs di Torino, società che lavora per la Leitner. L’intervento viene eseguito il 30 aprile e sembrava aver risolto il problema. Ma Tadini dice che il guasto era rimasto e che, a quel punto, aveva deciso di fare a modo suo: freno disattivato con i forchettoni.

«Io però non ho ricevuto telefonate successive da Tadini. L’ho chiamato io il 3 maggio per spare se era tutto in ordine e lui me l’ha confermato», dichiarato Davide Marchetto, l’operatore della Rvs intervenuto sul Mottarone.

Domande: com’è possibile che il guasto sia rimasto? C’è forse un collegamento fra il freno che scatta e la fune che poi si è spezzata? Cioè, può essere successo che il freno scattasse proprio perché la fune si stava rompendo? «Diciamo che se c’è un rumore relativo al calo di pressione del sistema frenante, cosa della quale non ricordo Tadini mi abbia parlato — ha spiegato Marchetto – può significare che la fune di trazione si sta muovendo dalla propria sede in maniera anomala attivando l’impianto frenante». Quindi, il collegamento poteva esserci. Il freno forse si attivava proprio perché la fune si stava spezzando.

«Io ritengo che siano due eventi separati – ha spiegato un ingegnere che conosce bene l’impianto – E questo per una semplice ragione: il dispositivo che regola il freno e lo mette in azione, legge solo le tensioni del cavo. Scatta se la tensione scende improvvisamente, come nel caso di rottura della fune. Ma dev’esserci una caduta verticale di peso, significa passare in breve da, chessò, 10 mila a 3mila chili. Non può essere che si attivi su una semplice anomalia».

Quale problema avevano, quindi, i freni secondo lei? «Non saprei, potrebbe essere una scorretta taratura della centralina, che vedeva una rottura della fune laddove non c’era». Possibile che chi è intervenuto non se ne sia accorto?

«In caso di assottigliamento della fune il freno può scattare – dice invece un suo collega, Piergiacomo Giuppani, consulente dell’Associazione nazionale degli esercenti funiviari che però non conosce l’impianto di Stresa – Ma il movimento deve essere veloce, non può durare un mese».

Che problema poteva dunque avere il freno? «Forse i componenti idraulici avevano una perdita, anziché essere a tenuta stagna». Insomma, pareri diversi.

Perché si è spezzata la fune?

La vicenda «forchettoni» sembra abbastanza chiara, almeno dal punto vista dinamico. Il mistero avvolge invece la rottura della fune di traino. Evento eccezionale, senza il quale la cabina non sarebbe precipitata. Perché, quindi, si è spezzata? La domanda implica considerazioni di carattere tecnico ed è destinata a scatenare una guerra di perizie, nella quale ogni parte in causa tenterà probabilmente di rimpallare le responsabilità. Ci sono di mezzo i controlli e le manutenzioni, che coinvolgono una serie di società e operatori. Il punto di riferimento normativo è un decreto del 18 maggio 2016.

Chi doveva controllare, e quando?

Esistono diverse periodicità di controllo della fune. C’è quello a vista che dev’essere fatto ogni giorno e una volta al mese in modo più approfondito dal capo servizio dell’impianto, cioè Tadini. Tadini doveva controllare la posizione delle pulegge, capire se ci sono rumori sospetti, verificare a colpo d’occhio le condizioni del cavo.

Ma quel giorno il rumore c’era. «Doveva fermare l’impianto», dice l’ingegnere. Ogni mese il controllo viene fatto facendo scorrere il cavo a velocità ridotta. Esami comunque sempre visivi, che assumono il rischio dell’errore umano. Ogni anno la fune viene poi sottoposta a un esame cosiddetto magnetoinduttivo, che è una sorta di elettrocardiogramma fatto da «calamitoni» dal quale emergono eventuali «picchi» anomali. L’ultimo era stato fatto il 5 novembre 2020 da parte della Sateco di Torino, 37 anni di esperienza su 3mila impianti in giro per il mondo.

Il controllo ha un rigore matematico e sembra difficile da aggirare. Viene comunicato al direttore del servizio, Perocchio, il quale a sua volta lo invia all’Ustif del Ministero delle infrastrutture, organo pubblico che sovrintende alla sicurezza su questi impianti. La stessa fune, quando i parametri di metallo integro scendono sotto valori prestabiliti (il 6% quello minimo), dev’essere sostituita. Non c’è una durata massima di vita: l’importante è che ci sia integrità. Quella del Mottarone risaliva al 1998. Rispettava questi valori?

La testa fusa non ha tenuto? E chi doveva controllare?

La parte più fragile della fune è quella terminale, tecnicamente testa fusa. Che oggi sale alla ribalta della cronaca perché pare che la rottura sia avvenuta in questa zona. La testa fusa è un cuneo di piombo che si fonde con i fili d’acciaio alla fine della fune, in modo che la stessa possa essere agganciata alla cabina. Si tratta della parte meno controllabile del cavo perché i calamitoni lì non arrivano. E dunque si può solo verificare a vista. Ragione per cui il Ministero ha disposto che, per ragioni di sicurezza, ogni cinque anni venga tagliata e rifatta. Un’operazione che esegue la Leitner. L’ultimo taglio risale al novembre 2016, pertanto i cinque anni sarebbero scaduti fra sei mesi. Chi doveva accorgersi che la testa fusa stava cedendo?

Fra i compiti del capo servizio Tadini, c’è anche il controllo trimestrale della testa fusa, che dev’essere fatto seguendo una procedura ben definita. Deve svitare una campana, controllare il grasso e vedere se e quanti fili si sono rovinati. L’ha fatto?

Come sarà andata quella mattina, ingegnere? «Difficile dirlo ora. Forse il rumore del freno che sentiva Tadini era legato al cavo che si stava rompendo… Poi, nel momento in cui il cavo è andato in tensione, alla stazione di arrivo, la testa non ha tenuto e la fune si è strappata». E la cabina ha preso a correre all’impazzata e al primo pilone è volato giù: 14 vittime.

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