Tra populismo e malagiustizia Tra populismo e malagiustizia

Di Maio chiede scusa “come uomo delle istituzioni”: è una contro-rivoluzione, per un “non-partito” che le istituzioni voleva aprirle come una scatoletta di tonno e che adesso invece si fa “sistema”. Così si consuma l’apostasia finale, che a febbraio aveva in parte anticipato lo stesso Grillo (prima di cadere vittima di se stesso, con quel video politicamente suicida girato “per amore di papà” e in odio di tutte le donne). Allora il capocomico, benedicendo il patto con il Pd e il via libera a Draghi, aveva annunciato la “scomparsa dei marziani”. Ammainando la bandiera di Conte, e issando quella di un ex banchiere centrale, aveva sconfessato il “culto della diversità” e la religione dell’anti-Stato. Entrando in una coalizione con Italia Viva, Lega e Forza Italia, aveva accettato di contaminare la “purezza degli ideali” con la concretezza dei compromessi. Ora dalla Farnesina, tempio della Realpolitik, il suo allievo caccia gli ultimi “mercanti” della primigenia ortodossia pentastellata. Compie lo strappo più doloroso, proprio sul terreno della giustizia, in un Movimento balcanizzato. Spiazza le correnti, già polverizzate. Costringe all’inseguimento Conte: il “non-leader”, tenuto in ostaggio da un “non statuto” e da una piattaforma “non Rousseau”, che forse sarà costretto a gettare la spugna e a lasciare che a scontrarsi, in quel campo di Agramante, restino solo Dibba e “Dimma” (secondo il felice copyright dello stesso Panarari).

Come si dice: oportet ut scandala eveniant. Qualcuno ne approfitterà per tentare il definitivo regolamento di conti con l’odiata magistratura (che in questo momento, tra Amara e Palamara, ce la mette tutta per farsi odiare). Qualcun altro ne approfitterà per rifarsi una verginità che non ha mai avuto (tipo Salvini, che dopo aver beatamente governato con i 5S in versione Robespierre ora lancia referendum iper-garantisti con i radicali). Possiamo anche sederci comodi a goderci lo spettacolo mangiando popcorn, come fanno le solite reginette del “tua culpa” del circo politico-mediatico, sempre pronte a salire sul carro dell’ultimo vincitore. Ma non serve a niente. In questo Paese, se continuiamo a fare la crestomazia delle incoerenze altrui e l’antologia del “chi aveva detto cosa”, non ne usciamo più. Chi è senza peccato scagli la prima abiura. Quello che serve, stavolta, è prendere sul serio la “rupture” del ministro degli Esteri e provare a farla davvero, una decente riforma della giustizia. Prescrizione o non prescrizione, poco importa. Conta solo che qualunque cittadino sia uguale davanti alla legge e non debba più aspettare otto anni per ottenere una sentenza passata in giudicato. Se esiste davvero un “metodo Cartabia” per trovare sintesi condivise, è il momento di dimostrarlo. Tocca alla Guardasigilli, che pure è una credibile candidata al Colle. Ma tocca soprattutto ai partiti, che proprio sul Colle navigano a vista. Si dice che a Palazzo Chigi, al Consiglio di venerdì scorso, i colleghi ministri si siano profusi in lodi sperticate a Di Maio. È un buon inizio. Purché stavolta serva a costruire qualcosa di serio. Non i soliti “castelli di rabbia” che tiriamo su inutilmente da quasi trent’anni, sulle macerie della Prima Repubblica.

LA STAMPA

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