Una scommessa sul ritmo di spesa
La posta in gioco per il Paese che passa dal decreto Semplificazioni la spiega con un esempio il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani a Huffpost: “Oggi installiamo 0,8 gigawatt di rinnovabili all’anno. Se non arriviamo a 8 gigawatt non avremmo quell’elettricità che ci serve per alimentare ad esempio le colonnine per le auto”. Ma arrivare a 8 gigawatt significa che dobbiamo decuplicare la capacità di installare le rinnovabili: impossibile farlo con autorizzazioni che vengono rilasciate non prima di due anni e a volte anche dopo sei. Così le oltre 20mila colonnine elettriche inserite nel Recovery non si faranno. La scommessa di Mario Draghi sulle semplificazioni passa da qui, dalla capacità che avranno le nuove regole di cambiare il ritmo di una spesa che è sempre stata lenta e che lenta lo è stata non solo per la capacità spesso inadeguata dei soggetti istituzionali – Stato, Regioni e Comuni – ma anche per il tappo iniziale delle procedure.
Il margine di questa scommessa è differente e più impegnativo rispetto alla tradizionale spesa dei fondi europei perché il Recovery ha una dote di 248 miliardi e soprattutto perché i soldi arriveranno a scaglioni, pacchetto dopo pacchetto. Se non si dimostrerà a Bruxelles che quell’impianto fotovoltaico è innanzitutto partito davvero, con un’autorizzazione rilasciata subito, quell’impianto non sarà mai realizzato. E così arrivare a 8 gigawatt all’anno sarà impossibile, ci sarà meno energia elettrica, meno colonnine. Ancora – in un effetto filiera che dà il polso del carattere inedito del Recovery – centrare l’obiettivo di decarbonizzazione del 55% si allontanerà.
Insomma per una volta ci sono i soldi (circa 70 dei 191,5 miliardi del Recovery plan sono destinati al green), ma la transizione ecologica va costruita. Con la consapevolezza che semplificare significa accelerare e che solo così si possono incentivare comportamenti virtuosi. Solo così, insomma, si può attuare quella rivoluzione verde ancora lontana nel Paese dei rifiuti e delle discariche, ma anche dell’utilizzo imponente delle macchine che inquinano. Se ci saranno le oltre 20mila colonnine elettriche sarà più facile ricaricare la propria auto elettrica, i cittadini insomma saranno più invogliati ad acquistarla. Forse non basterà, ma bisognerà provarci perché se si vuole uscire dalla logica dello slogan, se si vogliono centrare i target europei in termini di inquinamento, allora bisognerà passare, da qui al 2030, dai 99mila veicoli elettrici che oggi girano in Italia a sei milioni.
Questo ragionamento vale anche per il digitale. Di seguito sono indicati alcuni degli obiettivi che si pone il Governo. Le semplificazioni stanno per diventare legge dello Stato e qui si apre un’altra questione e cioè quanto la magistratura, nel pieno rispetto dei suoi poteri e della sua autonomia, agevolerà o al contrario ostacolerà questo percorso. Con eccezione di questo elemento le semplificazioni di Draghi, per come sono scritte, hanno tutte le carte in regole per imprimere una svolta decisiva. E hanno il vantaggio di avere un margine di disaffezione molto basso: quantomeno la fase iniziale per realizzare una pista ciclabile o una ferrovia è più snella. Il resto – cioè la realizzazione delle opere – è un’altra questione, questa sì problematica perché investe i tempi e le modalità di azione delle imprese che le costruiscono e degli enti locali che supervisionano.
La valutazione dell’impatto ambientale in sei mesi
Le procedure di Valutazione ambientale e di autorizzazione delle rinnovabili richiedono tra i 2 e i 6 anni. Il tappo alle autorizzazioni si traduce così: 24 anni per raggiungere i target di produzione di energia da fonte eolica e 100 anni per l’energia da fotovoltaico. La Valutazione di impatto ambientale veloce per i progetti del Recovery ritenuti prioritari dovrà essere rilasciata entro 175 giorni, sei mesi quindi.
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