Il dolore, la rabbia e la buona giustizia

Difficile pensare che l’opinione pubblica e men che mai i familiari delle vittime si accontentino di queste considerazioni formali. Probabile che all’ipotesi “fisiologica” preferiscano quella di uno scarto patologico e che in qualche modo insorgano (specie di questi tempi, dopo che il “Sistema Palamara”, anche per il modo in cui viene “reclamizzato” dal suo autore, ha gettato sulla magistratura palate di fango). Vero che i magistrati possono risentire – poco o tanto, consapevolmente o meno – della cultura e degli umori della società. Ma è altrettanto vero che si insegna loro a condannare se ci sono le prove anche quando la piazza reclama l’assoluzione, e viceversa ad assolvere se le prove non ci sono. Ovviamente non posso lasciare il piano dei principi per entrare nel merito del caso della funivia, schierandomi col pm o col gip a riguardo delle misure cautelari adottate. Voglio però concludere (anche dando per scontato che una tragedia come quella della funivia spinge per sua stessa natura a enfatizzare le reazioni emotive) che occorre comunque evitare – parafrasando Piero Calamandrei – che il “severo tempio della giustizia” si trasformi in un “allucinante baraccone da fiera”. Se accadesse, sarebbe un insulto proprio alle vittime del Mottarone.

LA STAMPA

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