Fabbriche, campi, turismo e cantieri: quando a mancare sono i lavoratori
Non è un fenomeno solo italiano. In tutte le economie avanzate all’uscita dalla pandemia emergono carenze di personale. In Australia i posti vacanti sono del 40% sopra ai livelli pre-Covid, i caffè di Berlino faticano a trovare camerieri e alcune aziende inglesi stanno pagando le persone perché si presentino ai colloqui di lavoro. Ed è vero che i posti vacanti in Italia, pur in aumento già da marzo, secondo l’Istat sono pari appena all’1% degli occupati (220 mila).
Ma in alcune aree si inizia ad avvertire lo stress del passaggio da una recessione profonda a una ripresa improvvisa. Coldiretti denuncia che nelle campagne rischiano di mancare 50 mila addetti, soprattutto per la scadenza dei permessi di soggiorno degli immigrati. Gabriele Buia, presidente dell’Associazione nazionale dei costruttori edili, ricorda che dal 2007 il suo settore in Italia è sceso da quasi due milioni a un milione di addetti. E ora l’impennata legata a incentivi come l’ecobonus e la prospettiva del Recovery di colpo evidenzia che mancano ponteggiatori, cappottisti, ingegneri e geometri di cantiere. Anche Confimi, l’associazione di Paolo Agnelli, nota carenze crescenti di tornitori, saldatori, falegnami, manutentori, idraulici e stima che solo l’11% delle imprese associate prevede di fare licenziamenti dopo giugno (mentre quasi un terzo prevede di fare assunzioni).
Massimiliano Schiavon e Giammarco Giovannelli, di Federalberghi del Veneto e dell’Abruzzo, indicano due colpevoli per i reclutamenti che non riescono a fare: il reddito di cittadinanza e un bonus pubblico da 1.600 euro per gli stagionali disoccupati all’uscita dell’ultimo decreto sostegni. «Più comodo stare a casa», accusano. Forse però non è tutto. Forse semplicemente troppi camerieri e cuochi hanno cambiato vita, o mestiere. Intorpidita da troppi anni di declino, l’Italia non sa più a rialzarsi e mettersi a correre all’improvviso.
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