Il mito all’asta: la parabola del Mulino Bianco
di PINO DI BLASIO
Il Mulino Bianco finisce all’asta. Basta questa frase per dare il via a una corrente di ricordi, suggestioni, percezioni, immagini di un’Italia particolare, quella degli anni Novanta. Quel Mulino è una ’madeleine proustiana’ sotto molti aspetti, anche per l’accostamento ai dolcetti. Fu capace di contrapporre al mito americano della finanza avida e senza scrupoli, stile Gordon Gekko, la forza tranquilla di una famiglia felice nella campagna dell’Italia di mezzo.
È stato uno dei più celebri ’non luoghi’, sublimato in una piccola Camelot grazie allo spot di successo della Barilla, parto di un trio di geni quali il creativo Armando Testa, il regista Giuseppe Tornatore e il maestro Ennio Morricone.
Sarà venduto dall’Istituto Vendite Giudiziarie di Siena a ottobre. Il prezzo base è fissato in poco più di un milione di euro, l’offerta minima è 831.204 euro e 89 centesimi. Davvero poco per un posto sognato da milioni di italiani. Diventato un agriturismo con ristorante, piscina con solarium e spogliatoio, una decina di stanze e diversi bagni, perfino una torre e una parte museale dove sono conservati gli strumenti per produrre l’energia elettrica grazie alla ruota del mulino e le macine per lavorare i cereali.
Bisogna saccheggiare la letteratura, improvvisarsi antropologi o semiologi, scimmiottare i compianti Umberto Eco e Omar Calabrese per provare a raccontare a chi ha venti anni oggi cosa significò quello spot e quel luogo scoperto in mezzo al nulla da Armando Testa, pubblicitario per la Barilla. Era un mulino in rovina, a poca distanza dalla sublime Abbazia di San Galgano, quella che ha per tetto il cielo, e accanto la roccia in cui Galgano incastonò la spada. Forse sarà stato merito di questi ’vicini magici’, più probabilmente sarà stato il frutto della genialità di Tornatore e Morricone, ma quel luogo divenne una meta di culto, come Neverland per i fan di Michael Jackson, o più semplicemente la villa del commissario Montalbano a Marinella.
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