La tragedia di Seid non arriva dal nulla
di Beppe Severgnini
Ogni suicidio è incomprensibile. La morte di Seid Visin, a vent’anni, non si può spiegare. Ma si deve cercare di capire: anche se fosse inutile, anche se sarà doloroso. Un bel ragazzo con lo sguardo intelligente, che giocava bene a pallone e sapeva ballare, saluta il mondo. Due anni fa ha scritto una lettera. Da italiani, non avremmo mai voluto leggerla. Ma forse ci aiuta, se non a capire, a sbagliare meno.
Seid era un ragazzo italiano con la pelle scura. Una lettera, inviata agli amici e alla psicoterapeuta, è sconvolgente: chiara, ben scritta, rassegnata. Una frase dovremmo meditare tutti: «Qualche mese fa ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, prevalentemente anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non bastasse, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche la responsabilità del fatto che molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro».
Persone che si rifiutano di farsi servire da un ragazzo perché non ha la pelle bianca. Prima ancora di essere illegale e assurdo, è nauseante. Però accade, lo sappiamo. Non sapremo mai, invece, chi sono le persone che hanno rifiutato di farsi servire da Seid. Ma loro lo sanno. La legge, contro di loro, è impotente e la coscienza – la sappiamo – ha i suoi tempi di prescrizione. Ci auguriamo che stavolta siano lunghissimi, e quelle persone capiscano l’orrore che hanno contribuito a generare.
Qualcuno avrà assistito a quelle scene. Avrà detto “Vergognatevi”?
Ho lavorato, per tredici anni, con una bravissima assistente nata in Ruanda (ora vive e lavora a Bruxelles). Quante volte abbiamo parlato di queste cose. Quante volte ha spiegato di non voler prendere un treno di sera, perché aveva paura degli sguardi allusivi; quante volte mi ha detto di essere stata affrontata con sufficienza (e col “tu”), avvicinandosi a uno sportello.
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