Draghi e i partiti: così cambia la geografia di maggioranza
Ma Draghi si tiene lontano dai regolamenti di conti tra (e dentro) i partiti, che al momento sono solo giochi tattici. Compresa la storia della federazione che sta spaccando il centrodestra e dilaniando le fazioni rivali di Forza Italia. Il premier comprende che le forze politiche hanno bisogno di spazio per la loro agibilità. Confida capiscano però che le polemiche non pagano, come dimostrano i sondaggi. Sarà un caso, ma a forza di segni negativi nei report, nelle ultime settimane il segretario della Lega e quello del Pd hanno drasticamente ridotto il loro tasso di conflittualità. Per il resto l’inquilino di Palazzo Chigi sta sui dossier, trasmette i decreti alle Camere e si fa dare la fiducia: considera la fase ancora troppo fragile e prevede che la messa in sicurezza del Paese sarà un processo lungo. Come lo stato di degenza dei partiti, che — per usare le parole di un ministro — «si richiamano tutti all’agenda Draghi ma non sanno davvero interpretare quella proposta. La avocano, tentando così di mettersi in sintonia con l’opinione pubblica, però non ci riescono».
Questo clima politico sospeso durerà finché non verrà formalizzata l’apertura della corsa al Colle, dove — Franceschini dixit — «potrà succedere di tutto». Nel frattempo i partiti sono concentrati sulla Rai, unico dossier di nomine su cui Draghi sa di non poter decidere da solo e dove legittimamente le forze parlamentari chiedono un metodo condiviso. Ecco spiegato il motivo del ritardo nelle scelte. Negli altri ambiti, in primis le riforme, lo schema è invece consolidato: il presidente del Consiglio dialoga con la sua maggioranza, poi però porta in Consiglio dei ministri la composizione dell’accordo, che non è una vera e propria mediazione. D’altronde «nessuno può staccare la spina a Draghi»: e per una volta tutti devono concordare con Renzi.
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