Alzheimer, nuova cura dopo 20 anni: “Può rallentare il declino cognitivo”

Gabriele Beccaria

TORINO. Non restituirà la memoria perduta, ma promette di rallentare il devastante processo di distruzione del cervello che passa sotto il nome sinistro di Alzheimer: è il farmaco approvato dalla Food&Drug Administration, l’ente regolatorio statunitense. Si chiama aducanumab (nome commerciale Aduhelme) e questa bizzarra sequenza di lettere – per quanto difficile da ricordare – segnerà una tappa nella lotta alla malattia diventata un’emergenza mondiale: quasi 25 milioni di persone colpite, al ritmo di un nuovo caso ogni sette secondi.

Aducanumab è un anticorpo monoclonale che si assume con un’infusione mensile in vena. «A differenza dei farmaci normali, che conosciamo come “small molecules”, piccole molecole, l’anticorpo monoclonale è una struttura proteica dotata di un’affinità molto elevata: tende a legarsi al bersaglio, in questo caso la proteina Beta-amiloide». E’ la Beta-amiloide a essere ritenuta la causa scatenante del morbo, anche se manca la dimostrazione incontrovertibile. Sappiamo, però, che si deposita nei neuroni e li porta alla morte. A spiegarlo è Giuseppe Nocentini, farmacologo all’Università di Perugia, membro della Società Italiana di Farmacologia e tra i massimi studiosi di immunofarmacologia. Il farmaco, quindi, come gli anticorpi utilizzati contro alcuni tipi di tumore, è un proiettile intelligente, che sa dove colpire. E sa anche superare la barriera ematoencefalica del cervello, scovando l’obiettivo.

Con quale efficacia, in realtà, non è del tutto certo. Ecco perché la Fda ha chiesto alla società produttrice, la Biogen, di condurre un ulteriore studio clinico di Fase 4. «Lo possiamo definire un farmaco curativo – sottolinea Nocentini -. Non permette di recuperare le capacità cognitive perdute, però gli studi evidenziano che contrasta l’evoluzione della malattia». I margini di incertezza sono dovuti, tra l’altro, alla difficoltà di classificare i malati in modo omogeneo. Tra i misteri dell’Alzheimer, infatti, c’è quello legato al decorso. In alcuni casi l’evoluzione è catastrofica, in altri è lenta. Valutare, quindi, la progressione del morbo non è semplice: un tumore, al contrario, assomiglia per gli specialisti a una sorta di scatola di cristallo.

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