Nessun accordo sui licenziamenti. Il blocco per settori non convince
di CLAUDIA MARIN
Sono cinque i settori produttivi per i quali il governo ipotizza, sempre più concretamente, il blocco selettivo dei licenziamenti. La lista allo studio, le cui aziende verranno identificate attraverso il sistema dei codici Ateco, comprende i comparti del tessile–abbigliamento, calzaturiero, elettrodomestici, parte dell’automotive e parte della chimica. Ma, almeno per il momento, la mediazione non decolla, perché i partiti della maggioranza restano divisi e Mario Draghi non vuole agire in assenza di un accordo politico che regga in Parlamento. Certo è che la soluzione indicata, da attuare in Parlamento attraverso un emendamento al Decreto Sostegni Bis, potrebbe raffreddare il nodo più avviluppato di queste settimane.
Per effetto del decreto, dal 1° luglio, le aziende di manifattura e costruzioni usciranno dalla cig Covid-19 e non avranno più divieti automatici di licenziare. Le imprese ancora in difficoltà, tuttavia, potranno tornare ad accedere alla cassa integrazione ordinaria o straordinaria, senza pagare i contributi addizionali fino al 31 dicembre. Solo per costoro, vale a dire per le realtà che utilizzeranno questa cig “scontata”, si allungherà il divieto di licenziamento per tutta la durata in cui fruiranno della cassa integrazione. Con il blocco selettivo, invece, per i cinque settori varrebbe il il divieto, a prescindere dal nesso con la cassa integrazione.
Per servizi, commercio, ristorazione piccole e medie imprese lo stop scade il 31 ottobre. Fin qui il merito. Il problema è che per arrivare a questo compromesso i partiti, i sindacati, le imprese e il governo devono fare nuovi passi in avanti. Dopo gli incontri, nei giorni scorsi, di Mario Draghi con i leader sindacali, ora si attendono dunque le mosse dell’esecutivo, che potrebbero concretizzarsi in una convocazione delle parti sociali da parte dello stesso premier a Palazzo Chigi o al ministero del Lavoro con il ministro Orlando.
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