Biden, il G7, la sfida alla Cina. E non sono solo proclami

L’abbraccio insomma c’è, ed è sincero oltre che reciproco. Ma ora che entriamo finalmente in una fase di solidarietà tra alleati, dobbiamo capire con realismo quale è l’intera posta in gioco. Perché anche Joe Biden a modo suo, in un modo totalmente diverso da quello brutale di Trump, porta la bandiera dell’America First.

Prendiamo l’esempio più eclatante, quello dei rapporti con la Cina di Xi Jinping. Biden esige una versione moderna del containment, ideato agli albori della Guerra fredda da George Frost Kennan. Vuole una ferma condanna collettiva delle repressioni cinesi contro gli Uiguri del Xinjiang e i dimostranti libertari di Hong Kong senza dimenticare il Tibet, e non dovrebbe trovare ostacoli da parte degli europei, che hanno peraltro varato da poco sanzioni comuni Ue-Usa contro Pechino. Liscia andrà anche la richiesta Usa di svolgere una nuova e più accurata indagine sulle origini del Covid-19, beninteso con la Cina nel mirino. Più delicato è il confronto sulla linea da tenere in occasione delle Olimpiadi Invernali in Cina nel 2022. Ma soprattutto nessuno ignora che il vero confronto Occidente-Cina, nella visione di Biden, riguarda la competizione tecnologica e i suoi legami con le esigenze di sicurezza. Nell’intelligenza artificiale come nelle nuove generazioni di computer, nel 5G come nell’uso militare di particolari software, nei semiconduttori come nelle lusinghe commerciali contenute nella «Nuova Via della Seta», la Cina è per gli Stati Uniti il più insidioso e pericoloso dei concorrenti-avversari. Se asse euro-americano deve tornare ad esserci, dunque, è questo il suo obbligatorio terreno di collaudo.

La festa non sarà rovinata. Ma, una volta calato il sipario del viaggio di Biden, ci sarà molto lavoro da fare. L’Europa ha già preso atto della linea americana, con le sanzioni comuni e congelando al Parlamento europeo un accordo sugli investimenti reciproci che la Germania aveva molto appoggiato. Ma la questione non è risolta. L’Europa ha i «suoi» interessi economico-commerciali con la Cina, non vuole tagliare radicalmente i ponti con Pechino e sin qui non ha accettato che gli Usa lo facessero anche a suo nome. La speranza è che Biden, spenti i riflettori, sappia trovare un punto di equilibrio. Ed è anche che Mario Draghi, se il nostro fronte interno continuerà a sostenerlo, possa trovare una conciliazione completa tra i due pilastri della sua politica estera, l’europeismo e l’atlantismo, evitando che la Cina diventi un turbamento troppo forte mentre in Germania è prossimo il tramonto di Angela Merkel e in Francia Emmanuel Macron è impegnato in una campagna elettorale decisiva per l’intera Unione Europea.

Non è soltanto Biden, dunque, a giocare una partita cruciale della sua presidenza mentre l’ombra di Trump continua ad aleggiare sulle Presidenziali del 2024. Anche l’Europa deve scegliere il suo futuro, trovando un ruolo sul palcoscenico mondiale che rivendica troppo spesso soltanto a parole.

Poi sarà la volta di Putin. Nessuno si aspetta grandi sorprese. Ma tra i due più spaventosi arsenali nucleari della Terra, il dialogo è già un successo. Con un sogno occidentale nel cassetto: quello di staccare almeno parzialmente la Russia dalla Cina, ponendo rimedio a un passato errore.

CORRIERE.IT

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