La Rai di Mario Draghi: taglio ai costi e ai canali. E le altre tv soffrono con poche idee
di Carlo Tecce
L’ha detto la televisione. Qui ancora lo dice la televisione. Viva e non vivace, la televisione italiana resiste a ogni nefasta profezia. E soltanto per la televisione, che seduce e illude, che promette propaganda e tradisce le aspettative, i partiti si accapigliano con veemenza ogni tre anni, a ogni rinnovo dei vertici del servizio pubblico Rai, e poi si acquietano e infine si azzuffano per canali, telegiornali, programmi. Queste sono tradizioni a cui ci si affeziona e mai ci si sottrae. Mario Draghi l’ha capito.
Il premier ha
fissato le nomine per la metà di luglio e si è promesso, e sì, anch’egli
tradisce le aspettative dei partiti, di indicare la coppia presidente e
amministratore delegato, cioè non propone, non delega, non negozia.
Alla politica lascia la scelta dei membri del Consiglio di
amministrazione: non è una concessione, lo prevede la legge. Il
presidente di Draghi, però, dovrà ottenere la maggioranza dei due terzi
in commissione parlamentare di Vigilanza.
Draghi non propone, non delega e non negozia con i partiti perché la Rai si trova in una situazione di quel serio che volge al preoccupante.
Il debito finanziario è di oltre mezzo miliardo di euro, per la
precisione 523 milioni. La pandemia, ovvio. Però si tratta della
pandemia in un’azienda a controllo statale con 1,8 miliardi di euro di
canone garantiti che ha tagliato 170 milioni di costi. Con queste
premesse e con le analisi svolte dal ministero del Tesoro, l’azionista,
il premier Draghi ha un mandato perentorio per la coppia, così la
intende, un suo blocco in un feudo dei partiti, di presidente e
amministratore delegato: ridurre, se non dimezzare le attuali 11 reti;
ridurre il debito, le perdite, le direzioni; ridurre i prodotti
commerciali nei palinsesti; investire sulla piattaforma di Raiplay,
sulle sedi locali, sulla radiofonia; aumentare le produzioni interne;
ritoccare all’insù, nel prossimo biennio, il canone che adesso è di 90
euro. I soldi che mancano e le idee che tardano, pure Draghi deve
attingere dalle repliche dei buoni propositi. Non c’è bisogno di un
seminario per comprendere la televisione di oggi: è uguale a quella di
ieri. Il guaio è che tra un po’ arriva domani. Arriva, arriva per forza.
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