Successi e menzogne di Bibi, il leader aggrappato al potere

Vi sono molteplici casi negli ultimi due anni nei quali Bibi non è riuscito a vincere nessuna delle quattro elezioni in modo sufficientemente ampio e decisivo da poter dar vita a un governo operativo, ma rastrellando un numero di voti che bastavano a impedire che si formasse un’alternativa. Così ha lasciato che ogni cosa rimanesse come era, in una sorta di limbo, convocando un’elezione dietro l’altra e sperando ogni volta di ottenere una maggioranza più consistente, fallendo tutte le volte, lasciando nel frattempo il Paese paralizzato, disorganizzato, non amministrato, senza nemmeno un budget che ne garantisse un funzionamento adeguato.

Uno dei primi esempi che affiora alla memoria è quello della crisi dei richiedenti asilo dell’aprile 2018. Bibi annunciò un accordo firmato con l’Unhcr (l’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu) che garantiva il trasferimento di 16 mila rifugiati nei Paesi occidentali, tra i quali Canada, Germania e Italia, e l’accoglienza dello stesso numero di rifugiati in Israele. Non si trattava della soluzione perfetta, ma di una risposta alla crisi, una risposta umanitaria. Non più tardi di 24 ore dopo, però, stralciò quell’accordo, a causa delle pressioni delle destre nazionaliste e del suo timore che potessero uscire dal suo governo. Questo suo modo di procedere a zig-zag, di mentire, di gestire i problemi come un dilettante si è deteriorato ancor più da quando l’anno scorso è iniziato il processo contro di lui per corruzione, frode e abuso di fiducia. Paventando il crollo del suo governo, si è piegato e ha ceduto a ogni richiesta dei suoi partner al governo, collocando gli interessi di Israele ben al di sotto della sua sopravvivenza. Per esempio, ha glissato sull’applicazione delle restrizioni di contrasto alla pandemia nelle comunità ultraortodosse, per non inimicarsene i politici.

L’errore più grave di Netanyahu, tuttavia, e quello che in definitiva lo allontanerà dal governo, è quello legato ai suoi tratti caratteriali. La sua autoindulgenza (e quella di sua moglie) gli hanno alienato i favori della popolazione. La sua paranoica diffidenza nei confronti di chiunque aspiri a prendere il suo posto ha allontanato molti politici, comprese le forze più giovani del suo stesso partito, come Gidon Sa’ar e Naftaly Bennet. Le sue menzogne eclatanti e il suo venir meno agli accordi l’hanno isolato, lasciandolo senza nessuno con cui stringere alleanze o trovare un’intesa. La sua tattica consistente nell’istigare e dividere le tribù della società israeliana, alla fine ha portato queste tribù così differenti, talvolta agli antipodi, a unirsi e coalizzarsi compatte dietro un unico comune denominatore: la disperata necessità di destituirlo.

Nel 1999, quando Netanyahu perse le elezioni dopo il suo primo mandato da Primo ministro, lo scrittore Amos Oz disse: «È un po’ come avere un compressore in funzione sotto la tua finestra, che per anni non si spegne mai e all’improvviso tace». Questo si diceva allora, dopo appena tre anni, quindi provate a immaginare come ci sentiamo noi adesso, dopo 12 anni in cui quel compressore ha stremato una nazione intera con il suo fracasso continuo, incessante, da spaccare i timpani. Domani mattina non mi serviranno miracoli. Non mi aspetto che tutti i nostri problemi siano risolti. Non penso che ogni macchia sarà stata lavata. Prima, se non altro, apprezzeremo il silenzio. Traduzione: Anna Bissanti

LA STAMPA

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