Vita da Millennial
FEDERICO TADDIA
Ecco, la solitudine la respiro in posti come questi. Sono luoghi sospesi, eterni, che mi parlano e mi trasmettono un’energia, una sensazione, che nient’altro mi sa dare. Qui sono sola. Ma qui sono anche con molto altro». Non è facile stare al passo di Anita, mentre agile come un furetto s’inerpica tra le rovine di una vecchia stalla abbandonata, a pochi metri dallo scorrere lento del fiume Reno. «Quello che più mi piace fare è stare qui, immobile, e registrare i rumori. Ho ore intere di nulla, lunghi silenzio interrotti solo da qualche crepitio, il cinguettare di uccelli, il miagolio di un gatto randagio, il rumore del vento che attraversa i pertugi. È la mia bolla, la mia protezione naturale contro i rumori che ci invadono». Capelli color lavanda, il nome della matematica greca Ipazia tatuato sulla mano e un fresco piercing al naso ancora da nascondere alla nonna: 21 anni, studentessa di giurisprudenza e cameriera cinque sere su sette in un ristorante nella periferia bolognese, Anita da qualche anno gira in lungo e in largo per la provincia – prima in bicicletta e poi in auto – alla ricerca di antiche case lasciate morire: casolari, cascine, antichi ristori per animali, ammassi di mattoni rossi e tegole malmesse in cui ergere per qualche ora il proprio eremo. «Ho un sacco di amici, da sempre ho il sorriso facile e la tendenza a socializzare con le persone, insomma sto bene tra la gente. Ma per starci al meglio ho poi bisogno di staccare, di trovare i miei spazi, di perdermi in me. Spegnere smartphone e cervello per immergermi in un altrove tutto mio».
I compagni di università, gli amici di sempre, la famiglia, i colleghi di lavoro e i clienti dell’osteria in cui lavora: Alice non sa tenere il conto degli sguardi che incrocia ogni giorno, delle relazioni instaurate, delle chiacchiere fatte. Per non parlare dei messaggi che corrono tra WhastApp e Instagram. Ma solo pochi intimi conoscono le sue fughe per isolarsi da tutto il resto.
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