L’occasione del turismo (se sapremo essere pronti)
di Gian Antonio Stella |
Più 498,4%: il 25 aprile scorso sembrò davvero, al di là della ricorrenza storica, il giorno della liberazione dalla pandemia. Mario Draghi avviava le prime riaperture e la Sojern, società del Nebraska specializzata nell’elaborare dati turistici mondiali, registrò che le prenotazioni in Italia eran schizzate dal 2020 a quell’euforica impennata. Urrah! Ma i numeri, si sa, van presi con le pinze. Da quel giorno, dice lo studio americano, l’ottimismo prese a affievolirsi. Anzi, in coincidenza coi nuovi dubbi sulle varianti inglese e indiana, la curva cominciò a scendere e scendere… Fino a risalire intorno al 40% venti giorni fa. Un trend simile a quello annotato in Gran Bretagna, Francia, Germania, Portogallo e Grecia, dove l’impennata aveva superato addirittura l’850%. Mai fidarsi delle ubriacature: non basterà l’estate a portar via i disastri della pandemia. Ora sappiamo, però, grazie a vari segnali incoraggianti e all’insistenza sui vaccini, che il nostro turismo sta uscendone davvero. Purché sia chiaro: di tutto abbiamo bisogno tranne di nuove fesserie («Non ce n’è Coviddi!») starnazzate in spiaggia.
Certo, il complesso monumentale del Duomo di Milano, che nel primo semestre di quest’anno ha registrato un -93% di turisti rispetto al 2019, nell’ultimo weekend di giugno ha accolto «più di 7 mila persone in due giorni». «In Liguria è boom di prenotazioni per la stagione estiva: gli alberghi a luglio e agosto sono già opzionati al 50%, soprattutto da turisti stranieri, che finalmente tornano a trovarci», ha esultato l’altra settimana il governatore ligure Giovanni Toti. «Vogliamo arrivare a un decreto che riprenda le basi di quello del 110%, ma estendendole al di là dell’efficientamento energetico. Sarà un bonus limitato all’80%, ma con una ben maggiore accessibilità», ha promesso il ministro del turismo Massimo Garavaglia.
Per carità, è comprensibile incoraggiare i cittadini a credere che la ripresa sia lì lì per sanare le ferite di un settore devastato. Per capire meglio, però, occorre rileggere il rapporto sull’impatto economico del 2020 del World Travel & Tourism Council diffuso due mesi fa da Federturismo Confindustria: «In Italia il giro di affari ha registrato un calo del -51%, passando dai 236 miliardi di euro ai 116 miliardi di euro, e l’impatto sul Pil nazionale è sceso al 7% nel 2020 rispetto al 13,1% del 2019». Di più: «In Italia il numero di occupati nel settore dei viaggi e del turismo è sceso da 3,5 milioni nel 2019 a quasi 3,2 milioni nel 2020, con un calo del 9,6%».
E via così. Con problemi enormi per la gran parte degli alberghi e dei ristoranti, indebitati tanto da dover spesso cedere: «Tutti gli hotel di Venezia sono indebitati, a Piazza San Marco metà dei negozi sono passati nelle mani di stranieri», sbotta con la schiettezza del novantenne Arrigo Cipriani, proprietario del celeberrimo Harris Bar e di vari ristoranti e hotel sparsi per il mondo, «Il personale all’estero mi costa il 33% degli incassi, qui il 49%. Il 49% non è una percentuale: è una malattia». Ed ecco il ricorso a banche sempre più rigide, ad agenzie assai esose, a usurai. Tanto che alle preoccupazioni per la caccia in corso ai più celebri hotel italiani da parte di fondi d’investimento e multinazionali del turismo, il direttore generale di Federalberghi Alessandro Nucara aggiunge l’apprensione «per il rischio dell’ingresso di capitali sporchi» dei quali sarebbe poi difficile liberarsi.
Facciamo finta di niente e confidiamo in un futuro azzurro e cristallino? Meglio piuttosto prendere di petto i problemi e ripartire col piede giusto. «A Mondello Antonio Romano, figlio dell’ex ministro cuffariano Saverio, sta per riaprire La Sirenetta che diventerà bar, ristorante e sala banchetti. Ha bisogno di 70 persone, ne ha trovate la metà, la maggior parte non siciliane», scriveva ieri Sara Scarafia su la Repubblica di Palermo. Racconto memorabile: «Cerco personale qualificato e propongo contratti semestrali da 1.500 euro al mese. Ci dicono “ no, grazie”. Col Reddito mediamente si guadagnano 800 euro e basta lavorare due-tre giorni a settimana, in nero, a 50 euro, per arrivare alla stessa cifra». A godere del reddito, spiegava l’Inps a maggio, in Sicilia, erano 556.000 persone. Una ogni sette in età di lavoro. Perché mai accettare l’offerta per un contratto in regola che avrebbe portato alla sospensione del «reddito» per essere poi costretti a rifare la domanda a contratto finito?
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