Se la politica produce paura e non cultura

Ormai, però, il modello è dilagato. Ogni forza politica si va specializzando in un ramo particolare del complesso paura-rassicurazione, in cui la rassicurazione è tanto più efficace quanto più cresce la paura, come per San Paolo si tengono peccato e legge. Si tratta di specializzazione competitiva: la mia sì è paura reale, fondata, non la tua! La mia sì va rassicurata, la tua invece è mera strumentalizzazione! Chi si specializza nel prendersi cura del timore per le invasioni barbariche e la perdita di sovranità, chi in assistenzialismo in materia di reddito, chi in omofobia e covid. Denominatore comune è l’assoluta vaghezza delle analisi che dovrebbero sostenere tali progetti di cura, la occasionalità e contraddittorietà degli stessi. Nessuna paura viene razionalizzata, nessuna informazione viene fornita così da consentire che essa non si trasformi in fuga, ma diventi azione responsabile di ciascuno. Chi sono i terroristi? Dove abitano? Come isolarli nel loro ambiente? Interrogativi superflui; alla guerra come alla guerra, punto e basta. Chi sono gli immigrati? quali politiche possono fronteggiare la loro tragedia? masturbazioni intellettuali; muraglie, fili spinati e lager libici occorrono, altro che balle. Chi sono i morti? Chi rischia davvero? Quali sono i reali limiti per ospedali e terapie intensive? Come può accadere che dopo tante vaccinazioni i contagi siano maggiori che nello stesso periodo dell’anno scorso? Vaghe, elusive risposte – alle quali fanno riscontro decisioni fantapolitiche come l’autorizzazione di manifestazioni di massa per le nostre vittorie sportive.

E’ davanti agli occhi di tutti: la competizione politica si sta sempre più svolgendo su questo terreno. E potrebbe anche andare se ognuno, per la sua parte, avesse proposte corrispondenti alla gravità delle questioni, e non solo si appellasse alla nostra fede sulle sue capacità di risolverle. E risolverle come? E qui davvero è evidente tutta la “miseria” in cui ci troviamo: risolverle con norme e pene, norme all’inseguimento della situazione, incapaci di prevedere e governare – pene sempre più dure, per un numero sempre più ampio di fattispecie, come se non si sapesse da secoli che non esiste corrispondenza tra severità della pena e crimini commessi. “Quid leges sine moribus?” chiedevano i fondatori romani dell’idea di Diritto – che valgono le leggi se manca l’ethos? Se i nostri politici cominciassero, anche da questo punto di vista, a riconoscere l’assoluta centralità della scuola e dei processi formativi? Perché non provarci, pur sotto la pioggia di norme e di pene?

LA STAMPA

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