Renzo Arbore & Marisa Laurito: “Noi e De Crescenzo, tre fratelli fra cene, risate e tanti viaggi”

Insieme erano innamorati di una Napoli bella, dei mandolini, del Vesuvio, come forse non era di moda essere. Insieme perché fondamentalmente uguali. «Parlavamo lo stesso linguaggio – puntualizza Arbore – che si rifaceva alla tradizione napoletana che tutti cercavano di sconfessare. Parlavamo della “Napoli sì”, imbevuta di amicizie, letteratura».

Il peggior difetto di Marisa? «Spesso s’innamora di imprese faticosissime. Il pregio, la spontaneità, il sorriso?». E di Renzo? «S’intestardisce a fare il gateau di patate come dice lui, con il prezzemolo. E non esiste. La vera ricetta è la mia ma lui non si dà per vinto. Il pregio è il gran senso dell’amicizia. Una volta in viaggio in Spagna io mi ammalai. Una banale influenza che mi costrinse a letto. Lui prese una sedia e si mise ai piedi del letto con un libro. E non si mosse di lì. Io a pregarlo di uscire, di divertirsi, a giurare di non essere moribonda. Ma nulla, lui rimase lì, sulla sedia vicino a me». E come fa un foggiano a farsi napoletano? «Renzo ha studiato a Napoli, ha il cuore e lo spirito di Napoli. Ha un suo chic e una sua eleganza napoletana infinita. Quando andammo a cena in casa Agnelli, io e Luciano, più strafottenti e meno attenti alle regole lo facevamo disperare: “Non ci facciamo riconoscere”, diceva a tutti noi. E a me specificatamente: “E tu non fare la napoletana!”. Non ho mai capito che volesse dire. Io non faccio la napoletana, io sono napoletana, gli rintuzzavo ridendo».

Allora i tre amici rimasti in due, hanno deciso di imbarcarne un quarto per rendere omaggio al terzo che non c’è più. Con il famoso sociologo Domenico De Masi, Arbore e Laurito stanno scrivendo un libro su De Crescenzo, ognuno raccontando il suo Luciano. Arbore s’infervora parlando dell’amico scomparso: «De Crescenzo era tanto ma la gente conosce solo l’umorista. Era stato un motonauta vincitore a più riprese della Napoli-Capri di velocità, era il cronometrista di Livio Berruti, era un raffinatissimo divulgatore di filosofia, soprattutto greca. È stato tra i primi conoscitori del computer tanto che spesso ci litigava, per spiegare la confidenza che aveva con la macchina. Era amatissimo dalle donne, bello, biondo, colto, sportivo. A Capri era idolatrato».

E tanta idolatria è tornata, nei giovani. «Sono felice che stia vivendo una riscoperta. Ha venduto milioni di copie di tutti i suoi libri ed è uno degli autori più tradotti nel mondo ma è stato snobbato dalla critica e questo l’ha fatto soffrire. Sono felice che la Mondadori abbia insistito per questo omaggio che sarà, visto che ognuno di noi non sa che cosa scriverà l’altro. Luciano si sarebbe divertito», sostiene Arbore.

LA STAMPA

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