Una leadership oltre i partiti

DONATELLA DI CESARE

Forse all’inizio la strategia comunicativa di Mario Draghi poteva piacere ai più per equilibrio, controllo, sobrietà. Poche apparizioni in tv, ben calcolate ed efficaci, qualche sporadica intervista sui giornali, sobri interventi nello spazio pubblico, parche e incisive parole pronunciate per lo più da un leggio o, si vorrebbe dire, da un pulpito. Si è trattato di un salto di qualità e insieme di un vero e proprio sollievo ripensando alle intempestive conferenze stampa di Conte che, in piena emergenza pandemica, il pubblico dei cittadini-spettatori era ormai abituato ad attendere per ore. Eppure, in quella strategia comunicativa, divenuta nel frattempo prassi ovvia e ben poco discussa, si annunciava un’analoga strategia governativa che è venuta alla luce in questo periodo. Draghi appare una sorta di sovrano contemporaneo, circondato da un nugolo di capi-partiti, più o meno volubili e riottosi, bizzarri e incontentabili. Certo, le differenze tra loro non mancano: da un canto i partiti di una “sinistra responsabile”, dall’altro quelli di una destra che scivola sempre più verso derive estreme. Ma il quadro, l’affresco resta: il sovrano della competenza e intorno i capifila della politica screditata, preoccupati del proprio elettorato, con i suoi umori cangianti, le sue incertezze, le sue paure.

Ben più che una mera strategia comunicativa, l’algida distanza con cui Draghi si tiene lontano dagli schermi e dai media è la stessa con cui governa da tempo, asetticamente separato dalla baraonda dei partiti, dallo spettacolo confuso e caotico della politica. Com’è già stato detto, e come vale la pena ripetere, si tratta di una leadership non contro i partiti, bensì oltre i partiti, condannati all’irrilevanza, relegati all’inconsistenza dei loro progetti e al capriccio delle loro smanie. Il messaggio, dopo mesi ormai neppure troppo ambiguo, è che, viste le circostanze, dei partiti e della loro politica si possa in fondo fare a meno. Che dicano quel che vogliono, che protestino pure – Draghi va avanti. Non senza il plauso di molti cittadini.

Autorevolezza, competenza, serietà, dignità (caratteristiche inusitate nel paesaggio politico italiano) giustificano la distanza del pulpito, ma non la legittimano in nessun modo. E questa differenza non è da poco, a meno di non pensare che la democrazia sia un optional, un dipiù e un orpello, comunque un ostacolo al funzionamento della politica. In tal senso è difficile valutare questo singolare periodo in cui un premier-guaritore si è fatto carico delle sorti di un paese malato di pandemia, ma anche, prima ancora, di cattiva politica. È una virata verso una repubblica semipresidenziale? Una svolta verso la “grande riforma”? A ben guardare è più che un avvio – è già quasi un dato di fatto.

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