Salario minimo, la svolta di Landini: “Si può fare ma la contrattazione non si tocca”

Francesco Olivo

DALL’INVIATO A BOLOGNA. La Cgil apre all’introduzione del salario minimo. Mette dei paletti, «serve una legge sulla rappresentanza», dà un contenuto più articolato, vuole capire bene i confini, ma la sostanza è che si è rotto un tabù antico. Per i sindacati questa è stata, ed in parte lo è ancora, una linea rossa da non attraversare, il motivo è semplice: un limite agli stipendi può mettere a rischio la contrattazione e questo, per le organizzazioni, va scongiurato in ogni modo.

Ma nella prima giornata di “Futura”, la manifestazione della Cgil a Bologna, il tema è emerso con chiarezza sin dal primo dibattito. E sul palco del teatro Duse è nato un asse di sinistra di fatto, Enrico Letta chiedeva l’apertura del dibattito, «in chiave europea», Giuseppe Conte indicava il salario minimo come una priorità del “patto” proposto da Mario Draghi alle parti sociali all’assemblea della Confindustria, la vicepresidente dell’Emilia Romagna Elly Schlein lo rilanciava e il segretario generale Maurizio Landini, da padrone di casa, non ha liquidato l’argomento, anzi, inquadrandolo in una strategia più ampia commentava soddisfatto: «È un bene che le forze politiche progressiste recuperino la capacità di rappresentanza del mondo del lavoro», dice. E a chi richiama l’accordo del 1993 Landini ricorda che «allora servì per moderare i salari. Oggi abbiamo il problema opposto».

Il segretario confederale insiste che è ora di parlare di stipendi e conia una formula efficace: «Non possiamo passare dalla pandemia del virus alla pandemia dei salari». E il vaccino qual è? Combattere contro il cosiddetto «lavoro povero», è il momento di affrontarlo» , ripete Landini, dando valore di legge ai contratti. La segreteria della Cgil pensa a provvedimenti legislativi che sostengano e rafforzino la contrattazione collettiva. L’idea è che sia il contratto lo strumento minimo di tutte le forme di lavoro: «Con una legge sulla rappresentanza si possono sancire quali sono i contratti validi e quali no – spiega un dirigente a fine giornata – e a quel punto, non ce ne saranno 900, ma 200 e devono avere un valore di legge, così si introdurrebbe un minimo salariale, ma anche un minimo di diritti sanciti». La resistenza dei sindacati, sicuramente della Cisl (ma non solo), sarà grande, ma la Cgil crede che difendere l’autonomia della contrattazione, senza un sostegno legislativo, alla lunga non sia sostenibile. Alcune proposte presenti in parlamento, come quella dell’ex ministra grillina Nunzia Catalfo di portare a 9 euro l’ora il salario minimo, non suscita l’entusiasmo della platea del teatro Duse, «non si può fissare una cifra a prescindere dai contratti». Rispetto alla proposta, citata anche da Conte ieri mattina, la Cgil insiste nel volerla definire meglio: «È troppo vago dire 9 euro, è una cifra oraria pura, o ci sono dentro voci come la tredicesima e il Tfr?».

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