La Germania dopo Merkel: il voto incerto a Berlino

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di   Paolo Valentino

Germania d’autunno. Si chiude in questo finale di settembre l’età di Angela Merkel e per la prima volta in 70 anni i tedeschi sono soli sul cuor della terra, senza un cancelliere o una cancelliera a cui guardare in cerca di rassicurazioni e certezze.La madre della nazione li ha governati con mano sicura per sedici lunghi anni, proteggendoli attraverso crisi drammatiche e consecutive, assicurando loro stabilità e benessere. È stata un’epoca dai tratti Biedermeier, opulenta e confortevole, segnata da una certa condiscendenza, ma calma e piatta, nella quale il limite di Merkel, campionessa mondiale della soluzione dei problemi dell’oggi, è stato di non aver saputo o voluto affrontare le sfide della modernità.

Ed è in questo bilancio in chiaroscuro la contraddizione che ha marcato la campagna elettorale appena conclusasi, la più imprevedibile a memoria d’uomo, dove per tre volte l’opinione pubblica ha svoltato bruscamente. Prima in favore della Cdu-Csu, poi per i Verdi fioriti e appassiti insieme alla primavera. E infine per la rediviva Spd. I «triellanti» – Armin Laschet, Annalena Baerbock e Olaf Scholz – non entusiasmano veramente i tedeschi, che per mesi hanno cercato qualcosa o qualcuno che assomigliasse ad Angela Merkel. Ma allo stesso tempo, ed è qui la contraddizione, la voglia di cambiamento è nello Zeitgeist.

Soprattutto, emerge un chiaro mandato per il prossimo governo ad affrontare e risolvere i problemi che la cancelliera si lascia dietro. E che non sono esattamente il «disastro» di cui impietosamente parla The Economist, la Germania rimanendo un Paese di grande forza e dinamismo economico. Ma pur sempre riguardano questioni centrali come il ritardo nella digitalizzazione, i crescenti divari sociali di cui la povertà infantile è la spia più scandalosa, gli scarsi investimenti pubblici, le infrastrutture obsolete (ieri chi scrive ha impiegato 6 ore per andare in treno «ad alta velocità» da Berlino a Colonia, 570 chilometri) e un’agenda climatica tanto più urgente in quanto la Germania emette più gas nocivi di ogni altra nazione europea.

Non c’è dubbio che Olaf Scholz, il candidato socialdemocratico, sia riuscito meglio degli altri a capire questo doppio sentimento. Combinandolo in un racconto nel quale l’emulazione neppure tanto nascosta dello stile di Merkel è andata mano nella mano con un programma elettorale fortemente centrato sulla giustizia sociale (per tutti il salario minimo garantito a 12 euro l’ora) e una politica del clima che sposa alcune posizioni dei Verdi, ma vuole una collaborazione virtuosa tra Stato e industria. In questo Scholz si ispira alle idee di Marianna Mazzuccato, che nel suo Mission Economy evoca il programma Apollo, quello che portò l’uomo sulla Luna, come esempio di un nuovo ruolo pubblico insieme e non al posto dell’iniziativa privata.

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