Che cosa fu la strategia della tensione

di MICHELE BRAMBILLA

La ministra dell’Interno Luciana Lamorgese è accusata di aver permesso a Forza Nuova di assaltare la sede della Cgil: si dice che avrebbe potuto fermarla prima, mettendone in gattabuia almeno i capi. Non sappiamo se la ministra sia colpevole di aver lasciato fare: può darsi, ma non tocca a noi stabilirlo. Il punto è però il movente che viene attribuito a Lamorgese: il voler alimentare una “strategia della tensione“. E il solo fatto di usare questa espressione, “strategia della tensione“, conferma quanto si sia smarrito il senso delle parole: come quando (ne abbiamo parlato qui venerdì scorso) si invoca una “pacificazione“ sul Green pass, neanche fossimo in guerra.

La “strategia della tensione“ è un termine coniato alla fine degli anni Sessanta, quando il mondo era ancora diviso in due blocchi: quello occidentale filo-americano e quello orientale dominato dall’Unione Sovietica. In molti Paesi del primo blocco c’era il timore che i partiti comunisti crescessero al punto da provocare l’invasione dell’Armata Rossa (“Arrivano i russi, arrivano i russi” era il titolo di uno spassoso film americano del 1966). L’Italia, fra questi Paesi a rischio, era il più a rischio: perché da noi il partito comunista era più forte che altrove, e soprattutto per la sua posizione strategica nel Mediterraneo.

Nel 1969 le piazze erano molto calde: sia per le rivendicazioni sindacali, sia per i primi attentati (qualche bombetta, ma senza vittime), sia per i primi scontri fra polizia e manifestanti. Il culmine arrivò il 12 dicembre 1969, quando una bomba esplose all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano, ammazzando 17 persone e ferendone altre 88. Di quell’attentato furono accusati, inizialmente, gli anarchici, mentre in seguito emerse la vera matrice: estremisti neofascisti coperti da settori dei servizi segreti. Ed è a questo episodio che viene attribuito l’inizio della “strategia della tensione“.

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