Il voltafaccia della Lega: voto a Bruxelles in difesa della Polonia. Un decreto per accelerare sul Pnrr
Ai ritardi delle burocrazie Draghi deve aggiungere le incertezze della politica, che solo questa settimana si è lasciata alle spalle una lunghissima campagna elettorale. In pochi giorni c’è da risolvere la grana delle pensioni, e trovare un ulteriore compromesso con la Lega, che ha alzato ulteriormente la posta, dicendo no all’ipotesi degli «scalini» per uscire da «quota cento», lo strumento triennale che ha mandato a riposo molti italiani a 62 anni e con 38 di contributi. Dovrà superare le rigidità del sindacato, che ha deciso di dare manforte a Matteo Salvini, e dovrà chiudere il testo sulla riforma della concorrenza, che giace a Palazzo Chigi dall’estate e che il premier ha promesso di presentare entro la fine di questo mese. Il 30 e il 31 ottobre, dulcis in fundo, sarà l’ora del G20 di Roma dei capi di Stato, dove è il padrone di casa.
I rigurgiti nazionalisti e populisti di Salvini non gli sono d’aiuto. Ieri, mentre diceva la sua ai colleghi europei sull’importanza di una strategia unitaria sugli approvvigionamenti e gli stoccaggi di energia, le agenzie battevano due notizie che gli hanno mandato di traverso il caffè sul grande tavolo circolare di Bruxelles. Prima quella di un videocollegamento fra Salvini e Marine Le Pen, fiera avversaria di Emmanuel Macron, poi l’esito del voto all’Europarlamento a proposito dello scontro fra Commissione Ue e Polonia sul rispetto dello Stato di diritto. Lega e Fratelli d’Italia hanno votato compattamente a difesa di Varsavia, insieme ai propri gruppi di riferimento («Identità e democrazia» e «Conservatori»). Una notizia scontata per chi frequenta le stanze di Strasburgo, peccato che la Lega sia parte del governo a Roma, e che ventiquattro ore prima avesse votato a favore della mozione di maggioranza in vista del Consiglio che Draghi aveva presentato così: «Non è solo per bisogno che si sta in Europa, ma perché se ne condividono gli ideali» e dunque la posizione dell’Italia è di «fermissimo e convinto sostegno alla Commissione». Quello della Lega di Salvini al governo Draghi è sempre più ondivago e ambiguo. Eppure il successo del Recovery Plan dipende anche dalla compattezza di chi è chiamato ad attuarlo.
LA STAMPA
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