Terza dose di vaccino: a chi spetta il «potenziamento» e quanto può durare l’effetto?

di Silvia Turin

Le terze dosi non sono i «richiami». Ecco che cosa serve sapere sulle dosi aggiuntive proposte ad alcune categorie di persone, soprattutto a causa dell’arrivo della variante Delta

Perché si è resa necessaria la terza dose?
Perché si è visto che, nonostante l’efficacia dei vaccini in uso resti alta contro la malattia severa da Covid-19, quella nei confronti dell’infezione (il contagio) cala nel tempo. Quel che si sa è che diminuiscono gli anticorpi e durante l’inverno la possibilità di contagio aumenta: ecco perché si è deciso di essere prudenti programmando una terza dose o un richiamo. Non si sa che cosa succederà nel corso dei prossimi sei mesi e le persone a maggior rischio vengono messe in sicurezza.

Quale differenza c’è tra «terza dose» e «richiamo»?
La terza dose può essere fatta anche dopo 28 giorni dalla seconda dose e ha lo scopo di completare un ciclo vaccinale negli immunodepressi, cioè quelle persone che non hanno risposto in maniera efficace alla prime due dosi. In sostanza, ci sono cicli vaccinali che, per funzionare, sono composti di tre dosi (o comunque di una dose in più). Il richiamo, invece, va fatto a distanza di almeno sei mesi dalla seconda dose. È di fatto un secondo ciclo vaccinale, che viene fatto dopo un certo periodo di tempo per riattivare la produzione di anticorpi.

Dopo quando si registra il calo di efficacia dei vaccini?
Mediamente tra i 6 e i 9 mesi. Si tratta di una discesa modesta della protezione nei confronti delle infezioni, la cui entità varia, in percentuale, da vaccino a vaccino.

Il calo si registra per ogni tipo di persona? Da che cosa dipende?
Più un soggetto è anziano, meno il suo sistema immunitario risponde bene. La prima variabile che incide sul calo di efficacia vaccinale è l’età, poi ci sono altri fattori individuali su cui si sta ancora investigando.

L’indebolimento dell’efficacia riguarda tutti i vaccini?
Sì, anche se Moderna sembra essere un vaccino un po’ più stabile: ha una concentrazione di Rna messaggero più alta di quella inoculata da Pfizer e, al momento, sembrerebbe essere il vaccino che si «indebolisce» meno.

Dipende anche dalla distanza temporale cui sono state somministrate le due dosi previste?
Non sembra.

Quali sono le indicazioni per il vaccino monodose Johnson & Johnson?
Chi ha fatto il monodose è come se avesse fatto una sola dose di AstraZeneca (i due vaccini sono molto simili): i riceventi di Johnson & Johnson dovrebbero essere i primi a fare una dose aggiuntiva, un richiamo, senza aspettare i sei mesi e indipendentemente dall’età. Questo perché in genere una sola dose fa più fatica a indurre una risposta della memoria immunitaria. Già negli studi di Fase III il vaccino Johnson & Johnson mostrava un’efficacia minore.

Quali criteri dovrebbe seguire il calendario per i richiami e le terze dosi?
L’età e il rischio di malattia severa da Covid-19: le persone dai 60 anni in su sono più soggette ai ricoveri perché il loro sistema immunitario invecchia e questa considerazione dovrebbe guidare la scelta dei richiami. Non c’è accordo tra gli scienziati sulla necessità di un richiamo per tutti, invece, anche se si ipotizza che, con il tempo, verrà fatto. Il calendario delle terze dosi, invece, è quello indicato da Ema (l’Agenzia del farmaco europea) e applicato in Italia. In ordine di priorità: immunocompromessi, over 80, residenti nelle Rsa, personale sanitario, over 60 fragili.

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