I disuguali rimasti senza partito

di Dario Di Vico

L’astensionismo selettivo delle periferie alle ultime Amministrative e l’umiliazione dei 5 Stelle fotografa il processo in atto

I l partito che aveva vinto le elezioni politiche del 2018 ha registrato nella recente tornata elettorale una sonora sconfitta. È parso totalmente fuori dai giochi, ha ammainato la bandiera delle sindache delle grandi città (Appendino e Raggi) e soprattutto, nonostante di anni ne siano passati, è sembrato ancora a digiuno di cultura dell’amministrazione urbana. Con ciò non intendo sottovalutare le trasformazioni che in questi tempi hanno modificato la struttura dei Cinque Stelle e che, se vogliamo, possono essere sintetizzate sia con il mutamento del profilo politico di Luigi Di Maio sia con l’isolamento delle posizioni di Alessandro Di Battista. Anzi. Se la pandemia ci avesse colpito prima di queste discontinuità il vero partito dei no vax sarebbe stato con tutta probabilità il movimento fondato da Beppe Grillo, con le conseguenze nel contrasto all’epidemia che si possono immaginare.

Della crisi dei 5 Stelle è prevalsa finora però una lettura politicista riferita agli errori di gestione della sua forza politica in Parlamento e più in generale nella conduzione degli affari di Palazzo. È rimasto in ombra il «sottostante» sociale ovvero come via via le parole d’ordine del movimento non abbiano incontrato più il favore dei suoi elettori e più in generale dei seguaci del Vaffa. Conquistando nel 2018 un terzo dei voti espressi nelle urne i 5 Stelle avevano coronato una battaglia di contrapposizione e insieme concorrenza alla sinistra storica che li aveva portati a diventare il partito della lotta alla disuguaglianza.

N el Novecento le disparità sociali, interpretate prevalentemente sull’asse capitale-lavoro, erano state la materia prima dei successi delle sinistre di varia ispirazione. I partiti nati dalla falce e dal martello, al potere o dall’opposizione, avevano operato una perfetta «lavorazione» di quella materia sovente in abbinata con i sindacati. Da qui un insediamento sociale straordinario tra gli operai, gli impiegati a bassa qualifica, i disoccupati e in qualche regione anche tra gli artigiani a più basso reddito. Via via con il dispiegarsi di nuove contraddizioni sociali che rendevano meno paradigmatico il conflitto di fabbrica e segnalavano l’arrivo di altre figure sociali come i precari, le partite Iva e i working poors, la rendita politica del secolo scorso è andata consumandosi. Ne sono stati una riprova un primo sfondamento di Forza Italia tra gli operai e il successo di una forza interclassista di tipo nuovo come la Lega Nord, che spostava il conflitto sui temi fiscali e territoriali.

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