Muro contro muro da fine legislatura

In un’atmosfera infuocata, mentre il Vaticano prendeva nettamente posizione contro la legge e in Senato si cominciava a temere la fine che il ddl Zan avrebbe fatto, a luglio si era arrivati a un rinvio. Alla ripresa, domenica, intervistato in tv da Fazio, Letta, capovolgendo la sua posizione, aveva aperto alla trattativa. Troppo tardi. E non solo perché in un futuro non certo prossimo sarà complicato riprendere la discussione su questo tema, ignorando il precedente di ieri e il modo approssimativo in cui il tentativo di legiferare su una materia così sensibile è stato condotto. Ma anche per la sensazione, rimasta nell’aria, che l’affossamento del ddl, sotto sotto, fosse l’esito che un po’ tutti – chi l’ha voluto e chi l’ha subito – mettessero nel conto, evitando così le divisioni tra parlamentari laici e cattolici, il muro contro muro con le gerarchie della Chiesa, e, con queste, perfino una qualche forma di interlocuzione, come accaduto altre volte in passato.

C’è poi un’altra ragione per cui la giornata parlamentare di ieri getta un’ombra pesante su una legislatura chiaramente giunta alla fine, e su un Parlamento che, malgrado l’emergenza Covid, nell’ultimo anno e mezzo troppe volte ha lamentato la propria emarginazione e lo strapotere dei governi. Perché il testo sull’omotransfobia costituiva un raro caso di legge d’iniziativa parlamentare; non veniva cioè dall’esecutivo, accusato spesso di governare a colpi di fiducia, non tenendo in alcun conto proposte e suggerimenti provenienti dalle aule parlamentari. Ed era pienamente in mano ai deputati, ai senatori e ai partiti che dovevano discuterne, cercando una convergenza tra diversi punti di vista, come avviene in tutti i parlamenti del mondo, per poi votare e decidere. La conclusione a cui gli stessi sono approdati dimostra che si è esaurita ogni residua possibilità di confronto e sul campo restano solo accuse, contro accuse e insulti.

Con questa stessa attitudine i parlamentari, presto convocati come Grandi Elettori, si apprestano a eleggere a gennaio il prossimo Presidente della Repubblica. Il timore è che anche questa delicata scadenza, su cui sono puntati gli occhi di partners e osservatori stranieri dell’Italia, finisca in una vergogna. Per quel poco che c’è da sperare, speriamo che non sia così.

LA STAMPA

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