“Renzi e Salvini poco serio”: Di Maio frena sulle trattative
Non ha cambiato idea: «Conosciamo entrambi i due Matteo – è il ragionamento fatto in queste ore – sappiamo bene che anche se prendono un impegno, poi non lo mantengono. La storia lo testimonia: quando si sono seduti attorno a un tavolo in questi anni, l’hanno fatto solo per dare scossoni al governo, aprendo poi una crisi». Non è solo il fallimento del patto sulla manovra o sulle riforme, o addirittura sul presidente della Repubblica, che teme il ministro degli Esteri. Ma una fine disordinata e drammatica della legislatura: «Questo tavolo con loro due rischia di essere un pericoloso boomerang. La scusa per dire: non siamo d’accordo, allora stacchiamo la spina».
Che creda o no a un’eventualità di questo tipo, Di Maio lavora da tempo in due direzioni. La prima vede rafforzarsi il suo rapporto con l’ala governativa della Lega. E quindi, con quel Giancarlo Giorgetti il cui viaggio negli Stati Uniti ha aiutato a preparare e con cui va a mangiare periodicamente una pizza. La cosa che più li accomuna, in un match che dovrebbe vederli agli angoli opposti del ring, è la volontà di proteggere il governo di Mario Draghi. Che a loro parere deve continuare per mettere al sicuro i fondi del Recovery e avviare la trattativa in Europa sul Patto di stabilità. È improbabile che Salvini la pensi allo stesso modo e anche per questo il dirigente M5S non vorrebbe che fosse lui a sedersi al tavolo. Preferendo, come forse lo stesso premier, che a gestire le trattative siano le delegazioni dei partiti al governo. La seconda parte della strategia di Di Maio riguarda i gruppi parlamentari: il Movimento ha ancora – nonostante decine e decine di defezioni – il numero più grande di elettori del prossimo capo dello Stato. Una golden share che nella testa del ministro degli Esteri deve essere usata al meglio. «Il Parlamento deve rimanere centrale – dice – anche Giuseppe (Conte, ndr) ha espresso dubbi sul fatto che un tavolo di leader sulla manovra potrebbe essere percepito come lesivo della prerogative delle Camere». E quindi: «Sarebbe fondamentale, piuttosto, che ci fosse la massima sintonia tra i capigruppo in Parlamento, bisogna fidarsi di deputati e senatori. In occasione delle ultime manovre hanno dimostrato di saper trovare la quadra, accogliendo al massimo anche le iniziative delle opposizioni». C’è insomma la volontà di farsi alfiere degli eletti, che ribollono di frustrazione e scontento: per essere stati estromessi dalle apparizioni tv, riservate ai vicepresidenti scelti da Conte. E per sentirsi sempre ai margini delle scelte, mentre vedono il loro leader andare a far festa con il dem Goffredo Bettini. A misurare la temperatura dentro il Movimento sarà l’elezione del prossimo capogruppo alla Camera: che Conte sta cercando di sminare, probabilmente rinunciando a un suo candidato forte come l’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede. Ma che potrebbe dimostrargli, ancora una volta, come guidare i 5 stelle sia più difficile di quanto pensasse.
LA STAMPA
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