Il trattato Roma-Parigi fa bene anche all’Europa

Se la Germania si allinea, dopo essere stata ago della bilancia pro-Ngeu, verrà a scontrarsi frontalmente con Italia e Francia. Dalle nebbie dell’accordo di coalizione vengono segnali misti. Il ministero delle Finanze dovrebbe andare al leader liberale, Christian Lindner, già paladino dell’austerità. Voci durante le trattative lo davano per addolcito. Le anticipazioni sul programma non escludono lo “sviluppo delle regole fiscali” con acrobazie verbali fra crescita, sostenibilità del debito e spiragli per investimenti purché “verdi”. Troppo poco e presto per un giudizio. Ma se il nuovo governo tedesco si attesta sulla rigidità fiscale, condita da pressioni sulla Bce per alzare i tassi d’interesse causa inflazione, si troverà in rottura con Roma e Parigi incrinando il triangolo fra i tre principali Paesi dell’Ue.

Questo porrebbe un problema maggiore all’Italia che alla Francia. Parigi e Berlino si sono abituate a lavorare gomito a gomito mentre cambiavano Presidenti e Cancellieri, governi e coalizioni. Sarà così anche con Scholz. Il motore franco-tedesco è un diesel: funziona anche a basso regime. L’Italia ha sempre guardato alla Germania come punto di riferimento cardinale in Europa ma il buon rapporto italo-tedesco non si è tradotto in legami altrettanto radicati. Non tutti i (nostri) leader l’hanno coltivato. Proprio perché più fragile, deve essere messo al riparo dalle ricadute di un braccio di ferro fiscale.

Il Trattato del Quirinale è un bel successo della politica estera di Mario Draghi e della diplomazia italiana. Rinnova un’amicizia ma non deve incrinarne altre. Deve rilanciare le nostre quotazioni valorizzandole sui tavoli europei e internazionali senza complicarle. Emmanuel Macron saprà avvalersene per rafforzare la politica estera francese. Non dobbiamo essere da meno.

LA STAMPA

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