Lo Stato e un peso crescente
In passato, sono stati i cosiddetti «ceti produttivi» e soprattutto la borghesia piccola e media a credere che lo statalismo ne ostacolasse la prosperità. Forse altrove è ancora così: il leader dei liberali tedeschi Lindner farà il ministro dell’economia, nel nuovo governo coi socialdemocratici, anche perché in quel Paese i risparmiatori avvertono la minaccia delle politiche monetarie non convenzionali e delle scelte di spesa che esse rendono possibili.
I liberali alle elezioni tedesche hanno conquistato circa il 20% dei ragazzi che si recavano per la prima volta alle urne, in Italia l’unico a usare ancora l’aggettivo è un ultraottantenne, Berlusconi. Che oggi abbraccia il reddito di cittadinanza forse non solo per immaginarsi con più convinzione candidato al Quirinale: ma forse perché convinto che i suoi stessi elettori, i quali ieri chiedevano regole più semplici e tasse più basse, oggi hanno bisogno di sentirsi protetti e rassicurati.
Per avere uno Stato leggero serve una società pesante: una società fatta di persone che abbiano voglia di essere più autonome, artefici del proprio destino; e che, se necessario, siano capaci di prendersi cura di chi sta peggio. Cosa che il nostro Stato tentacolare spesso non sa fare. Come testimoniano le sempre nuove richieste di intervento e aiuto, a loro modo rivelatrici dell’incapacità di sintonizzare la spesa sui bisogni. Il nostro è sempre più uno statalismo inerziale: non rivela un Paese solidale, ma la nostra pigrizia intellettuale e l’atrofizzazione dei corpi intermedi.
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