Prodi: “Il sovranismo dei francesi frena l’Europa. Pd troppo piccolo per dare le carte sul Colle”
Annalisa Cuzzocrea
ROMA. Se gli si chiede «Come sta?», Romano Prodi risponde: «Troppo bene». E si sente – nella voce – che è così. Ha scritto un libro che racconta attraverso 100 immagini il senso dell’Europa ai suoi nipoti, e a tutti noi. Lo ha fatto con una sorta di candore: ricorda, l’ex presidente del Consiglio e della Commissione europea, che da quando i nostri Paesi si sono uniti, nel continente sono cessate le guerre. Ripercorre questa prima conquista e poi tutte le altre, parla delle ferite, dei pericoli, ma sempre – costantemente – delle possibilità. Di quel che c’è ancora da fare e di come bisogna agire. Sul Quirinale dice: «So contare, quindi seppure questo Pd non fosse più quello dei 101, è troppo piccolo per dare le carte». Quanto a Silvio Berlusconi: «La sua aspirazione è legittima, ma dovrebbe imparare a contare anche lui».
Come mai ha scelto 100 immagini per raccontare l’Europa?
«Perché
bisogna far entrare il senso dell’Europa nell’immagine quotidiana della
vita politica, come un fatto familiare e nello stesso tempo fatale. Non
è un caso che abbia dedicato questo libro ai miei nipoti: spero vedano
l’Europa compiuta, ma non ne sono sicuro perché i processi democratici,
se vogliono essere tali, sono molto lenti. È il nostro problema nella
sfida con i regimi autoritari, che sono molto più veloci».
Scrive che bisogna superare il meccanismo dell’unanimità per far marciare l’Unione, troppo spesso bloccata da interessi contingenti dei singoli Stati.
«Sia per la politica contingente che per il semplice fatto che con il diritto di veto un nano si sente un gigante».
A commento di un’immagine che ricorda il piano Marshall,
spiega che per una vera ricostruzione servono forza e coesione della
società. Oggi le abbiamo?
«Parliamo soltanto di soldi! O di
generici macro-processi di riforme. E invece il cambiamento si fa con i
mutamenti nella vita quotidiana. Servono il funzionamento della pubblica
amministrazione, della giustizia, ma anche delle imprese, della
struttura economica. Altrimenti avremo solo un bellissimo respiro che
rischia di durare poco. Non è approfittando di un incentivo temporaneo
che si cambia il Paese».
Visto quello che accade nei Paesi dell’ex blocco sovietico, si è mai pentito dell’allargamento a Est?
«Ci
ho pensato spesso, ma non mi sono pentito. A parte che i treni della
storia passano una volta sola, si immagini oggi una Polonia uguale
all’Ucraina. Il dramma delle tensioni che ci sono oggi con Polonia e
Ungheria è estremamente inferiore rispetto a quel che sarebbe successo
senza l’allargamento. Quando vedo che a Versavia c’è un governo che fa
tutti i dispetti possibili, ma i sondaggi scoprono che il 90% dei
polacchi dice sì all’Unione, penso che queste tensioni siano fortemente
negative, ma temporanee. E il disegno europeo invece sano e permanente.
Anche se non passerei il mio tempo libero con Katczynski e Orban».
Giorgia Meloni guarda molto a Orban, alla destra spagnola di Vox.
«Ma
è amore o è ancora una volta politica interna pura pura pura? Che
adocchia un elettorato di “no vax politici” per curare la diversità
della sua base? Così facendo mette in difficoltà un grande disegno per
un interesse breve, accodandosi a una storia arretrata».
L’Europa dei sovranisti arretra davvero?
«Sì, ma
quello che mi preoccupa è un rigurgito di sovranismo in Francia. Che
per motivi di politica interna un uomo come Michel Barnier metta delle
piccole zeppe perché è entrato in una situazione pre-elettorale, mi
colpisce. Sa bene che il diritto europeo deve stare sopra quello degli
Stati, sennò si sfascia tutto. Ancora una volta c’è un aspetto della
Francia profonda che rallenta la corsa».
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