Non siamo resilienti, perché non sappiamo cosa voglia dire
Ma contrapposta c’è questa fiducia messianica nella scienza che cammina sulle gambe del fato per cui la soluzione sta sempre per spuntare dal cilindro, e al primo calo di curva ci si smascherina, ci si assembra come fra eletti della razionalità – “tanto siamo tutti vaccinati, no?” – in uno stupefatto e giocoso day after. Omicron, lettera dell’alfabeto greco che indica il piccolo, al contrario dell’omega che indica il grande: è l’infinitamente piccolo che si prende gioco di chi si reputa infinitamente grande, lo irride, lo ricaccia all’angolo. E siamo sempre noi a scoprirci le spalle, a giocare una partita diversa, non sintonizzata sui tempi e sui modi del virus. Ho accolto con enorme sollievo la vaccinazione – “siamo tutti vaccinati, no?” – e attendo il mio turno per la terza dose non dico contando i giorni, ma quasi, ma non ho mai pensato che fosse un bacio a Times Square, la fine della guerra, l’ho vissuta come un buon rifugio durante il bombardamento. Vaccinarsi è come smettere di fumare, riduce il rischio del cancro, ma non elimina il nemico.
Resilienza è sapere che avanziamo a tentoni nel buio, e va fatto con fiducia e cautela. Tocca seguire la scienza perché non abbiamo di meglio, seguirla per mancanza di alternative sapendo che fra qualche secolo qualcuno leggerà di noi e riderà di noi come noi oggi ridiamo di sanguisughe e salassi, seguirla nonostante le contraddizioni che altro non sono se non le ovvie, struggenti conseguenze di esseri umani che si reputano omega e sono in balia di omicron, qualsiasi cosa sia e sarà la variante omicron. Resilienza è sapere che siamo dentro un casino infinito, di cui non sappiamo niente, tantomeno quando finirà.
L’HUFFPOST
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