In difesa dell’identità (e di Maria e il Natale)



Non c’è solo un modo reazionario di custodire la propria eredità culturale, c’è anche un modo (e un dovere) libertario e progressista. Se il reazionario dice «io sono cristiano perché non sono musulmano», il progressista dice «io sono cristiano perché non discrimino il musulmano» (purtroppo non vale il reciproco). Se la difesa della libertà del reazionario passa attraverso un aut aut , quella del progressista libertario passa attraverso un et et.

Ma attenzione: il fatto che l’Occidente sia la terra della libertà non implica rinuncia, acquiescenza, sottomissione e nemmeno universalismo aggressivo; implica, al contrario, che nella nostra storia, tradizione, identità — nella sua parte migliore — si pratichi con fervore il rifiuto del dogma e dell’autoritarismo, si creda, con slancio gioioso e orgoglioso, nella parità di diritti, nell’eguaglianza tra le età e tra i sessi, di tutti di fronte alla legge, nello spirito critico, nella libertà di ricerca, di pensiero, d’espressione, nel libero amore, anche nella libertà di ciascun individuo di poter perseguire la propria idea di felicità, per quanto essa possa sembrare ad altri sciocca, empia o frivola. Ed implica anche che si sia pronti a battersi contro chiunque minacci queste libertà, questi valori, questa idea laica di sacralità della vita.

Anche le minigonne, la satira, le canzoni napoletane, i formaggi di grotta, sono parte integrante del nostro modo d’essere, nelle nostre città aperte a tutti, dove dobbiamo rimanere liberi di santificare le feste alla nostra maniera, abbuffandoci di panettone e, per chi lo vuole, venerando la sublime immagine di Maria, icona di tenerezza, forza e pietà materna. Maria non è solo la madre di Cristo, è anche nostra zia, nostra nonna, la figlia che abbiamo sognato fin da ragazzi e poi avuto, molti anni dopo, da donne amorevoli, coraggiose e libere.

Smettiamola una buona volta di ingannarci, raccontandoci che dalla repressione di noi stessi possa nascere la libertà degli altri.

La predicazione ossessiva e persecutoria delle pratiche di diversity and inclusion sta diventando l’ideologia egemone del nostro tempo, vale a dire un frutto della falsa coscienza con cui si vogliono rivestire di idee e principi astratti le concrete, spiacevoli realtà dei fatti materiali, travestendoli con vestiti all’ultima moda.

Il melting pot è fallito ovunque. Il multiculturalismo non può e non deve diventare la cultura di chi è privo di cultura.

CORRIERE.IT

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