La «cultura» che vuole cancellare il passato

A qualcuno potrebbe apparire singolare questa concezione «storicistica» nel capo di una Chiesa che crede alla Provvidenza; ma da molto tempo il cattolicesimo ha fondato sul «libero arbitrio» la capacità dell’uomo di intervenire nella vicenda terrena, presupposto e spiegazione della diversità delle culture e delle epoche. La Provvidenza non cancella, al massimo converte. Il cristianesimo è così intimamente partecipe della «lunga durata» della storia in Europa, e delle sue innumerevoli contraddizioni e colpe, da aver imparato ad apprezzare i cambiamenti di significato che le azioni umane possono assumere attraverso i secoli. La rigidità della «cancel culture», non a caso nata invece in un mondo caratterizzato da una prospettiva storica molto più «corta», la cui data d’inizio è la scoperta di Colombo, probabilmente contesterebbe qui da noi anche il Colosseo, in fin dei conti un simbolo della crudeltà del mondo romano nei confronti dei «diversi», schiavi o cristiani che fossero. Ma la Chiesa ha invece «assorbito» quel monumento così fatale trasformandolo nel ’600 in un luogo di culto e tempio, e nel ’700 consacrando l’arena e proibendone la profanazione, al punto che ancora oggi essa è la destinazione finale della Via Crucis del Papa il Venerdì Santo.

Qualche voce laica contro la «cancel culture», seppure con estrema prudenza visti i tratti da nuovo «maccartismo» che spesso assume, comincia a sollevarsi. Noam Chomsky, che pure è un radicale di sinistra come altri non ce n’è, ha dichiarato alla nostra Marilisa Palumbo sul 7 del Corriere che essa «è sbagliata come principio e suicida dal punto di vista tattico: è un regalo alla destra». La New York Review of Books , ha notato sempre sul Corriere Giovanni Berardinelli, ha criticato il libro di uno storico secondo il quale la stessa indipendenza americana sarebbe stata voluta nel 1776 per difendere il regime schiavista, e quindi anch’essa andrebbe ripudiata come una «libertà bianca», di conseguenza razzista. Nel 2020 è apparso un manifesto di centinaia di intellettuali contro la «cancel culture» che spesso, insieme con le idee o le statue, tenta di «cancellare» anche le persone, attraverso il linciaggio sui social e vere e proprie campagne virali di boicottaggio, appiccicando loro l’etichetta di misogino, omofobo, o transfobico, come è successo a Woody Allen, a Kevin Spacey, a J. K. Rowling.

Naturalmente la «cancel culture» non è il male del nostro tempo, ma ne è una significativa manifestazione. È in ogni caso un pericolo per la libertà ben più serio di una campagna vaccinale o del green pass. E sorprende che in Italia debba essere il Papa ad accorgersene, nel sostanziale silenzio di tanti intellettuali laici e progressisti.

CORRIERE.IT

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