Fraintendere l’avversario: così si rischia il disastro

di Angelo Panebianco

Le democrazie occidentali e le potenze come Cina e Russia hanno idee diverse su come esercitare l’egemonia: per le seconde conta ancora l’acquisizione territoriale

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Xi Jinping e Vladimir Putin (Afp)

Nelle crisi internazionali i fraintendimenti delle intenzioni dell’avversario o degli avversari hanno l’effetto di aggravarle. Al punto che, a volte, senza che nessuno dei protagonisti lo abbia inizialmente voluto, la situazione sfugge al loro controllo e precipita nel disastro. Una causa rilevante dei fraintendimenti, degli equivoci che rendono così difficoltosi i contatti fra le democrazie occidentali e le due grandi potenze autoritarie (Russia e Cina) dipende dal diverso significato che viene attribuito dalle une e dalle altre al territorio, al suo controllo statale (diretto o tramite un governo fantoccio) e di coloro che vi abitano. Si consideri il braccio di ferro attualmente in corso sull’Ucraina o quello, probabile, di domani su Taiwan , nonché la «pace cartaginese» (la brutale imposizione del dominio su popolazioni ostili) di cui l’ultima vittima è il Kazakistan (ma la lista è lunga: dalla Bielorussia allo Xinjiang, a Hong Kong). In tutti questi casi, fra occidentali e potenze autoritarie sembra possibile solo un dialogo fra sordi: con gli uni che agitano il tema del diritto delle popolazioni coinvolte all’autodeterminazione (a decidere autonomamente come e da chi essere governati) e gli altri che rivendicano il proprio diritto a esercitare il controllo su territori di loro proprietà o che hanno comunque per loro valore strategico, qualunque cosa ne pensino coloro che vi risiedono.

È un argomento ormai classico quello secondo cui il territorio non ha più, in età contemporanea, il significato che ha avuto per millenni nell’età pre-industriale. Per ragioni sia economiche che politiche. Economicamente — si pensava — ciò che conta, in epoca industriale e post-industriale, non è più il controllo statale diretto su territori ma la posizione, di forza o di debolezza, sui mercati e nella competizione di mercato. Politicamente, inoltre, era opinione comune che territori e popolazioni non potessero più passare di mano (per il risultato di guerre, di matrimoni dinastici o di accordi diplomatici) fra una potenza e l’altra come se fossero «pacchi». Adesso, in età democratica — si pensava — è necessario tenere conto dell’opinione degli abitanti dei vari territori, di ciò che essi vogliono fare di se stessi e del proprio destino. Da tutto ciò se ne ricavava l’idea che il controllo dei diversi territori non fosse più, come era stato per millenni, la posta in gioco principale, il vero motore, della competizione internazionale. Nonché la principale causa delle guerre.

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