La scelta politica di aprire la scuola

Vladimiro Zagrebelsky

Quando il presidente del Consiglio presentò il suo governo al Parlamento, la menzione che fece del dovere di fare tutto il necessario per promuovere al meglio il capitale umano, la formazione, la scuola, l’università e la cultura, poteva parere qualcosa di obbligato nel quadro del programma di qualunque governo. Qualcosa che non poteva mancare e che dunque rimaneva poco significativo, tanto più che le contingenze spingevano l’attenzione verso i temi propri delle emergenze sanitaria ed economica. Eppure, una maggiore attenzione avrebbe dovuto essere prestata a quel passaggio (e ad altri che non riguardavano economia e sanità) e confrontarlo con l’insistenza con la quale Mario Draghi era ed è ancora spesso indicato con il “banchiere” o il “tecnico” di economia e finanza. Così suggerendo che in qualche modo sia fuori posto nel ruolo del presidente del Consiglio, che, come stabilisce la Costituzione, dirige la politica generale del governo e ne mantiene l’unità di indirizzo politico. Con quelle etichette non se ne vuole indicare l’esperienza e l’alta qualificazione in un settore specifico, importante ma non esaustivo; se ne vuole invece ridurre o immiserire il profilo professionale a fronte della più importante qualità che avrebbe un presidente “politico”. Quest’ultimo carattere, senza specificare, viene assegnato a chi ha fatto tirocinio e poi è cresciuto nella vita dei partiti politici. Ciò che non è necessariamente negativo, ma non mette in luce la natura fondamentale che dovrebbe avere l’azione politica e il ruolo “politico” di chi la svolge. Si tratta della non settorialità, della completezza della considerazione e della conoscenza dei bisogni della società, della visione di prospettiva di lungo periodo, dell’attitudine alle scelte di priorità, dell’interesse per la costruzione di un tipo di società e non di un altro.

Dopo l’ultima conferenza stampa del presidente del Consiglio sarebbe bene far cessare l’equivoco (e la falsificazione) e considerare che Mario Draghi è sì un tecnico, nel senso che sa di cosa parla quando affronta temi di economia e finanza, ma è anche un politico a tutto tondo. Cosa è infatti, se non una scelta pienamente e consapevolmente politica, quella che il presidente del Consiglio ha illustrato e rivendicato nella conferenza stampa insieme al ministro dell’Istruzione, in favore della riapertura delle scuole secondo il calendario prestabilito? Certo il terreno su cui il governo si è mosso è segnato dai dati della epidemia, dalle interpretazioni e previsioni (non univoche) che ne danno gli esperti epidemiologi, dalle indicazioni che vengono dallo stato oggettivo in cui operano le scuole, eccetera. Ma da tutto ciò non derivano conseguenze obbligate; semmai qualche controindicazione o impedimento alla adozione dell’una o dell’altra soluzione tra le diverse possibili. Ed allora, come è normale e bene che sia, intervengono le scelte politiche. Che sono certo sempre discutibili, ma sono doverose e legittime quando l’autorità competente ne assume la responsabilità, non pretendendo di essere puramente e semplicemente guidata dai dati della realtà (indicati dai tecnici). La scelta politica del governo sottostante le misure riguardanti la scuola è in favore della scuola e dell’insegnamento in presenza. L’effetto della qualità dell’istruzione è stato indicato anche sul piano, tutto politico, della lotta alle diseguaglianze sociali. Elsa Fornero ha illustrato su questo giornale l’importanza della istruzione, ai suoi vari livelli, sottolineando il valore della scelta della scuola come vera priorità strategica del Paese.

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