Quirinale, l’incastro degli incarichi: l’ipotesi di Casini come alternativa a Draghi
I partiti cercano di riguadagnare lo spazio perso negli anni ed evitare il definitivo commissariamento della politica: Casini come alternativa a Draghi
Un tecnico al Quirinale e un altro a Palazzo Chigi sono una combinazione che i partiti non intendono accettare, perché sancirebbe il definitivo commissariamento della politica. È attorno a questo nodo che s’ingarbuglia la corsa al Colle ancor prima di iniziare. Il problema non è Berlusconi , che non è più in campo anche se rimane in mezzo al campo, e con la sua scelta potrebbe indirizzare la sfida. Il punto è che i partiti vorrebbero riguadagnare lo spazio e il ruolo persi negli ultimi anni, vedono nell’elezione del presidente della Repubblica l’estrema occasione per rilanciarsi, ma temono quella che l’ex ministro Lupi definisce «la teoria del flipper»: «Nel flipper, la pallina prima o poi scende. E Draghi è come un flipper». Indubbiamente l’ex presidente della Bce è oggi il nome più accreditato per il Quirinale, «la soluzione verso la quale — secondo Renzi — finiremmo per scivolare per l’incapacità della politica di fare politica».
In effetti, se il premier dovesse traslocare sul Colle, nessuna forza potrebbe rivendicare la guida di un governo di larghe intese a un anno dalla scadenza elettorale: di conseguenza anche Palazzo Chigi finirebbe a un tecnico. E sarebbe «game over». Per sfuggire a un simile scenario, sta prendendo corpo l’idea (bipartisan) di tentare una difficile convergenza, da costruire per di più in extremis, quando le urne per il Quirinale stanno per aprirsi. Il gioco del «candidato di blocco» non regge: centrodestra e centrosinistra l’hanno constatato, bruciando tempo e nomi. Fino all’altro ieri ognuno si è presentato agli appuntamenti con rose già sfiorite: Salvini con Pera, Casellati e Moratti; Conte con Riccardi e Severino. Solo Letta ha evitato la lista, visto che quella del Pd sarebbe stata troppo lunga. Mentre Di Maio — pur di restare alla Farnesina — si è promesso a tutti, affiancando addirittura un proprio sherpa ad ogni candidato.
Essendo operazioni a somma zero, alla fine di ogni incontro si è tornati sempre a Draghi, criticato dai leader di maggioranza perché «non è disposto a fare accordi politici, di cui ci sarebbe invece bisogno». Ma se il premier non si espone per sollecitare intese, è perché non vuole restare incastrato in manovre di parte. Dunque l’alibi dei partiti non regge: tocca a loro dirimere la vertenza. E se riescono, a evitare il paradosso descritto da una vecchia volpe come Mastella: «Il Consiglio di Stato è presieduto da Frattini, che è un politico. La Consulta sta per essere presieduta da Amato, che è un altro politico. Possibile che al governo e alla presidenza della Repubblica debbano starci due tecnici? È il mondo alla rovescia».
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