È necessaria una prova di serietà
Si tratta di individuare l’erede di Sergio Mattarella, e non è lavoro da tutti. Ci vuole un «cursus honorum». Ci vuole uno standing internazionale, ci vuole prestigio e autorevolezza. Si tratta di eleggere il successore di Mattarella senza dare il solito spettacolo di agguati, sgambetti, tradimenti
E leggete chi volete, ma non disperdete il piccolo capitale di serietà, credibilità, fiducia in sé stessa, che questa nazione ha accumulato negli ultimi due terribili anni. Verrebbe voglia di spedire una letterina ai
1009 elettori del prossimo capo dello Stato. Perché sì, è politica, è
manovra, è potere, e non c’è niente di male, in fin dei conti il governo
della «polis» è da sempre anche questo. Ma poi, alla fine, cari grandi
elettori, dovrete innanzitutto e soprattutto scegliere chi «rappresenta
l’unità nazionale», come dice l’articolo 87 della Costituzione. E lì non c’è manovra che tenga.
Il dettato costituzionale non significa infatti soltanto che sarebbe
meglio eleggere il presidente a grande maggioranza, così che nessun
cittadino, o quasi, possa sentirsi escluso o penalizzato, e tutti
possano fidarsi. Quella frase significa anche che la donna o l’uomo
prescelti rappresenteranno di fronte al mondo l’Italia. L’Italia come è
oggi. E, per la prima volta dopo tanto tempo, l’Italia è oggi vista nel
mondo come un Paese che sta mostrando il suo valore, una «success
story», se non addirittura un esempio da seguire: quasi un prodigio per
chi da troppo tempo era considerato il «malato d’Europa».
L’asticella su cui verrà misurata la prova che attende il Parlamento è dunque posta più in alto che in passato:
bisognerà che sia al livello di quella che sta offrendo il Paese.
L’altissimo prezzo di vite umane e di dolore che abbiamo pagato quando
la falce della pandemia ci ha colpito a sorpresa non è stato invano. Ci
ha insegnato a reagire, e a muoverci velocemente. La campagna vaccinale
prosegue con la speditezza e l’efficienza che siamo abituati a invidiare
ai Paesi nordici. Così la quarta ondata, seppure micidiale, non ci ha
sommerso come la prima e la seconda, e stavolta non abbiamo chiuso
praticamente niente. Con tutte le polemiche che ha provocato, e qualche
indiscutibile bizantinismo, il green pass è di gran lunga il miglior
surrogato all’obbligo vaccinale finora sperimentato in Europa. Di
conseguenza l’economia è in crescita. Il nostro prodotto interno lordo è
aumentato nel 2021 del 6,3%, cifra record in Europa. Non è ancora una
ripresa in grado di rassicurarci sul futuro occupazionale dei nostri
figli, ma non è neanche «jobless»: nell’ultimo trimestre rilevato gli
occupati sono aumentati di più di mezzo milione rispetto all’anno
precedente.
Abbiamo finora fatto tutti i compiti a casa necessari per aver diritto all’erogazione dei fondi europei, e per quanto un’inflazione importata dall’aumento del costo dell’energia penda come una spada di Damocle sulle nostre speranze, sperare è di nuovo possibile. Sperare innanzitutto di curare le tante piaghe sociali, le sacche crescenti di povertà, l’assottigliarsi dei risparmi, gli effetti di troppi mesi di economia di guerra. Così i giornalisti stranieri che affluiscono in queste ore a Roma per l’elezione del capo dello Stato per una volta non ci chiedono come sia possibile avviare una svolta che inverta la marcia dell’Italia, ma piuttosto come evitarla, per proseguire sulla strada intrapresa.
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