Se torna la paura dell’inflazione

Pietro Garibaldi

“Quirinal game”, nel mercato del lavoro italiano si aggira un pericoloso spettro che si chiama inflazione e che quasi nessuno osa menzionare. L’Istat ha da poco certificato che a dicembre 2021 su base annuale (quindi rispetto al dicembre 2020) i prezzi sono aumentati di quasi il quattro per cento, un aumento che in Italia non si registrava da circa 25 anni, addirittura prima dell’introduzione dell’euro. L’aumento generalizzato dei prezzi- trainato da un’esplosione dei prodotti energetici – colpisce in prima battuta imprese e consumatori attraverso il caro bollette. Non a caso il governo sta preparando un provvedimento fiscale straordinario di due o tre miliardi per alleggerire le famiglie dagli effetti della stangata energetica. Se però l’aumento dei prezzi continuerà nei prossimi mesi, l’aumento generalizzato dei prezzi si estenderà a tutto il mercato del lavoro.

Il meccanismo e il problema che affronteremo sono semplici da descrivere mentre sono terribilmente difficili da risolvere. Per quel che riguarda le imprese, nel breve periodo l’aumento dei prezzi energetici si trasforma in un aumento dei costi di produzione e in una riduzione dei margini di profitto. Tuttavia, le imprese alla lunga hanno anche la possibilità di scaricare parte dell’aumento dei costi sull’aumento dei prezzi. Ovviamente l’aumento dei prezzi dei prodotti rischia di diminuire la domanda, ma rimane un meccanismo di aggiustamento disponibile. Nel caso dei lavoratori, invece, la stessa possibilità di auto-difesa non esiste. Per almeno 20 milioni di lavoratori italiani, l’aumento dei prezzi nel medio periodo finirà inevitabilmente per ridurre il potere d’acquisto di salari e stipendi. Per un dato contratto di lavoro, il lavoratore non ha infatti possibilità di chiedere alla propria impresa un risarcimento per il fatto che il potere d’acquisto del salario pattuito è stato eroso dal caro prezzi. Il silenzio dei sindacati su questi temi fa abbastanza rumore. E’ probabilmente un misto di silenzio e imbarazzo legati alla storia economica del nostro Paese.

Negli anni Settanta dopo le crisi petrolifere, in Italia fu introdotto un aggiustamento automatico dei salari ai prezzi che prese il nome di scala mobile. La storia ci insegna che il rischio di quell’aggiustamento automatico è la spirale “prezzi salari”. L’aumento dei salari necessario a restituire il potere d’acquisto dei lavoratori finisce per spingere le imprese ad aumentare nuovamente i prezzi, generando ulteriore inflazione e creando una rincorsa perversa tra prezzi e salari. Invece che controllare l’inflazione, l’indicizzazione finirebbe per sostenerla. Scartando quindi un meccanismo automatico, dobbiamo comunque porci il problema di come difendere i lavoratori da un’inflazione che – lo scongiuriamo tutti – potrebbe rimanere con noi nel medio periodo.

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