Letta e Conte, divisi alla meta

Annalisa Cuzzocrea

«Non hanno alcun diritto di imporre nomi o strategie», dice Enrico Letta. «Dopo quello che è successo oggi con il balletto delle dichiarazioni, la deflagrazione della coalizione di centrodestra è l’ennesima dimostrazione che non solo non sono maggioranza, ma sono anche profondamente divisi e lacerati».

Sembra quasi di sentirlo, il respiro di sollievo nelle parole del segretario Pd. Letta pensa che a questo punto l’unico negoziato percorribile – da fare insieme agli alleati di M5S e Leu – sia la ricerca di «un nome di alto profilo, super partes e largamente condiviso». Mentre ne parla, la figura che si staglia chiara sembra ancora quella del presidente del Consiglio Mario Draghi. Ma su questo, gli alleati del Movimento 5 stelle hanno molti più dubbi. Trasversali: vanno da Conte a Stefano Patuanelli a Paola Taverna. Solo Di Maio non ne è intaccato, solo il ministro degli Esteri pensa sia lì che bisogna andare.

È la ragione per cui Letta mette in campo prima di ogni cosa il patto di legislatura. E per la quale – dopo che ieri tutti i leader si sono sentiti con telefonate continue e incrociate – oggi vedrà per primo Matteo Renzi e poi, alle 10:30 del mattino, Giuseppe Conte e Roberto Speranza con i rispettivi capigruppo di Camera e Senato. Un incontro a 9, cui ne seguiranno altri con il segretario della Lega Matteo Salvini, con la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni e con un emissario di Silvio Berlusconi, chiunque decida di mandare.

Il tutto per provare – ancora – a togliere dal campo tutte le ipotesi che i dem considerano irricevibili (Casellati, Pera, Moratti) e per sondare quanto siano davvero forti quelle cui sarebbe invece difficile dire di no, come Pier Ferdinando Casini. Ma anche, a questo punto appare chiarissimo, per parlare di come fare a far reggere la legislatura in ogni caso: che Draghi vada al Colle oppure no. Anche per come la partita del Quirinale ha svelato le differenze e le diffidenze interne alle coalizioni, torna con insistenza il tema di una legge elettorale proporzionale che possa liberare i partiti da matrimoni forzati (l’unica contraria sembra Giorgia Meloni, non a caso la più furente dopo il vertice di ieri). E poi c’è bisogno di parlare di un ipotetico nuovo governo, nel caso i nomi delle diverse parti continueranno a essere bruciati e si arrivi a un accordo in extremis sul premier.

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.