Letta e Conte, divisi alla meta

Perché è vero che nella nota del centrodestra c’è un riferimento alla necessaria continuità del governo Draghi, ma è anche vero che è più sfumato di quanto si temesse. «In realtà – ha detto ai suoi il ministro della Difesa Lorenzo Guerini – il centrodestra che non ha i numeri su Berlusconi, pur avendoli tanto cercati, non può averli su un altro candidato di parte. È la prova di quel che dicevamo. Adesso bisogna lavorare».

Non sarà semplice. Dice Giuseppe Conte, dopo aver aspettato l’esito della riunione del centrodestra: «Sono molto soddisfatto per il ritiro di Berlusconi. Il che si aggiunge all’ulteriore soddisfazione per il fatto che adesso tutti si stanno lentamente rendendo conto che non possiamo permetterci di interrompere l’azione del governo di unità nazionale e sostituire Draghi a Chigi». Sono parole e ragionamenti molto diversi da quelli che si sentono al Nazareno. Ma il presidente M5S spiega anche che «sarebbe troppo alto il rischio di bloccare il Paese con una crisi di governo difficilmente risolvibile e di mortificare i cittadini nelle loro aspettative e concrete esigenze». Non è un caso che negli ultimi giorni abbia fatto un altro tentativo, attraverso degli emissari, per verificare non sia proprio possibile un Mattarella bis.

Quello che i 5 stelle tendenza Conte sperano è che l’asse ritrovato con Salvini spinga tutti in questa direzione. E che dai prossimi vorticosi incontri esca un nome che possa vincere le resistenze di tutti. Nelle scorse ore Conte – che sta cercando di tenere in mano il gioco – ha sentito anche Giorgia Meloni. E a tutti ha spiegato che per il Movimento far parte di un nuovo governo sarebbe molto difficile. E che anzi, per poterlo fare – in caso fosse Draghi ad andare al Colle – ci sarebbe un unico modo: far sì che a votarlo siano gli iscritti sulla nuova piattaforma informatica. Perché la paura dei vertici M5S di un’ulteriore perdita di consensi è quasi maggiore di quella dei parlamentari di dover tornare a casa prima del tempo. Prima, anche, di quel famoso 15 settembre in cui scatterà il diritto alla pensione.

Così per quanto gli alleati si dicano uniti, giocano in realtà partite molto diverse che non sarà facile comporre. Il Pd ha al suo interno una larga fetta di parlamentari che andrebbe senza problemi anche su nomi come Casini o Frattini. A partire da Dario Franceschini, ma non si tratta solo del ministro della Cultura. Anche se al Nazareno a tutti chiedono, con formula retorica: «E siete sicuri che a quel punto Draghi resterebbe? E che non crollerebbe invece tutto, compreso il Paese?». Il Movimento 5 stelle, esploso contro Riccardo Fraccaro per il suo incontro segreto con Matteo Salvini e per i tentativi di alcune correnti di muovere pacchetti di voti, resta dilaniato tra contiani di ferro e fedelissimi di Di Maio. Con i primi che chiedono al leader: «Ti sei infuriato con Fraccaro, ma anche Di Maio sta facendo incontri a tutti i livelli senza dire mai niente. E a quanto raccontano i giornali dice sì a tutti, anche a persone che noi non possiamo accettare». Veleni da tenere a bada, visto che domani si comincia a votare. Conte pare aver convinto Letta ad andare su un nome di bandiera per le prime votazioni: Andrea Riccardi, uno dei garanti delle Agorà, fondatore della comunità di Sant’Egidio. Un modo per sondare la propria compattezza, ma anche un rischio che, in caso gli altri si dimostrassero più forti, farebbe perdere il vantaggio appena riguadagnato.

LA STAMPA

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